It looks like you don't have flash player 6 installed. Click here to go to Macromedia download page.
informazioni
It looks like you don't have flash player 6 installed. Click here to go to Macromedia download page.
BORGO PACE UN PO' DI STORIA
Borgo Pace: perché questo nome?
Lo storico Tito Livio nel 27 a.C. scriveva nei suoi "annali" che le truppe dei generali romani Ottaviano Augusto, Emilio Lepido e Antonio si incontrarono lungo il Metauro e ne risalirono la valle; si pensa quindi che qui furono gettate le prime basi di quella pace che va sotto il nome di Secondo Triumvirato. A conferma, il ritrovamento di monete, oggetti e vestigia militari nel campo detto "Presaglia". II territorio della Massa Trabaria, prima abitato dall'antico popolo degli Umbri, vede intorno al sec III a.C. la occupazione dei Romani vincitori sui primi nel 285 a.C. nella battaglia di Vadimone. La presenza di tanti preziosi corsi d'acqua e la colonizzazione favorita dalle assegnazioni di terre della Lex Flaminia (232 a.C.) avranno interessato anche l'alta valle metaurense con la conseguente nascita di "pagus" insediamenti rurali e ville coloniche sparse, sotto l'autorità del "Tifernum tiberìnum" (Città di Castello) nella cui provincia era il nostro territorio. La crescita delle attività e dei villaggi subisce un brusco arresto a causa della lunga guerra tra Goti e Bizantini (VI sec d.C). Le città metaurensi vengono abbandonate per rifugiarsi sulle colline ed in luoghi più facilmente difendibili. Nascono i "castra" nuovi insediamenti difensivi lontani dai villaggi romani. Alle dipendenze del "Castrum Lamularum" sorgono i primi castelli di Bavia, Parchiule, Guinza, Sompiano, i Fabbri. L'abbazia di S. Michele Arcangelo, "Badia de l'Amola" si legge sull'antica carta, ben distinta dall'omonimo "Castrum", fu fondata sul finire del VII sec. dai seguaci di S.Benedetto (480-547). Alla funzione sociale ed economica, oltre che religiosa, del cenobio dell'Ora et labora si deve la bonifica del luogo e la nascita di tante attività tra le quali, preponderante, quella legata al legno. La Massa Trabaria deve il suo nome a "trabea" in latino "trave". I contrafforti appenninici erano ricoperti di boschi, perlo più di abeti, il cui taglio riforniva le fabbriche romane di chiese e palazzi.
I tronchi, sui quali spiccava il marchio AUF (ad usum fabricae), venivano trasportati con i carri oltre il passo di "Bocca Trabaria", per poi scendere a Valdimonte per essere affidati alla fluitazione sulle acque del fiume Tevere. Alla morte di Carlo Magno (814) la Massa Trabaria appartiene, insieme alla Pentapoli Marittima, allo Stato della Chiesa ed ai suoi abitanti viene concesso il privilegio di sostituire i tributi dovuti con l'invio delle preziose travi. Quando le vicissitudini tra Sede Apostolica e Impero scatenarono le avidità dei feudatari desiderosi di impadronirsene, Lamoli, insieme a Mercatello, si rivolse al Papa per rimanere autonoma con i suoi statuti. Nel 1256 alla firma della pace tra Città di Castello e la Provincia della Massa, Lamoli ha nell'abate benedettino Ugone il suo rappresentante; nel 1353, dagli atti della pace di Sarzana, (Giovanni Visconti contro vari Comuni tra i quali è Città di Castello), Lamoli è ancora indipendente sia dai Neri della Faggiola che dai Brancaleoni.
Ed anche il conte Guidantonio da Montefeltro, preso possesso nel 1424 dei Castelli della Massa, volle riconoscere gli statuti anche se procedendo alla loro revisione. Nel nuovo Statuto di cui rimane "copia semplice" gelosamente conservata a Lamoli, si afferma la concessione "magnifici, excelsi ac potentis Domini comitis Montis Feretri, domini Urbini, Calli, Eugubii, Castri Lamularum, Baviae, Partivoli, Guincae, Sompiani et Castri Fabrorum pro Sancta Romana Ecclesia Gubernatoris generalis". Nel 1631, con la morte del duca Francesco Maria II e il passaggio dello Stato d'Urbino alla Santa Sede, Lamoli entra a far parte della Legazione di Urbino (dove rimarrà fino all'unità d'Italia) iniziando a perdere le autonomie fino alla cancellazione del secolare Vicariato nel 1827 per opera di Papa Leone XII che, istituendo il Comune di Borgopace, ne ricomprese il territorio. Dell'agglomerato originario, distrutto dalle truppe tedesche in ritirata lungo la Linea Gotica, rimangono ben poche tracce. Per questo gli edifici che oggi formano il paese sono di recente costruzione. Dal 2003 Borgo Pace si è dichiarato "Città per la Pace". Borgo Pace ebbe la fortuna di dare i natali nel 1647 a Lorenzo Ganganelli, medico a Sant'Arcangelo di Romagna e padre di Giovanni Vincenzo Antonio che, entrato a 18 anni nell'Ordine dei francescani minori come fra' Lorenzo, diverrà nel 1769 Papa Clemente XIV. La storia lo ricorda per essere stato il Pontefice che nel 1773, dietro le pressioni delle nuove culture scientifiche e filosofiche dell'Illuminismo, fu costretto a sciogliere l'Ordine dei Gesuiti.
CONSULTARE ANCHE LA PAGINA CASTELLO DI BORGO PACE
TERRITORIO
Tra le acque pure dei torrenti, i boschi, le carbonaie e una passeggiata lungo la valle di Parchiule
Borgo Pace confluenza tra Meta ed Auro Borgo. Pace è lungo la valle del Metauro l’ultimo comune prima della dorsale appenninica. Sorge a 450 m. di quota ed il suo territorio interamente montano si svolge lungo le strette vallate dell’Auro e del Meta, contornato da una serie di crinali che si sviluppano ad una quota media di 800 m. fino ai 1044 m. del Passo di Bocca Trabaria e ai 1225 m. del monte Sodo Pulito. La cura ed il taglio dei boschi che ricoprono i versanti è da sempre una delle attività più importanti per il Comune, svolte con saggezza in equilibrio con la natura. Le essenze più diffuse sono il carpino e l’orniello, insieme all’acero napoletano e più in basso, le roverelle; nel paesaggio agrario spiccano gli aceri campestre e minore. Cascatelle e piscinette lungo il corso del torrente Auro, create dai tipici gradoni, dovuti alla stratificazione della Formazione Marmoso-arenacea (arenaria, marna, argillla) risalente al Miocene. Il territorio è ricco di corsi d’acqua sorgiva che lo attraversano. Qui nascono i torrenti Meta ed Auro che a Borgo Pace si uniscono per diventare il Metauro che porterà le acque dell’Alpe della Luna all’Adriatico. Lungo la valle di Parchiule dove scorre l’Auro troviamo anche risorgenze di una acqua diversa, quella sulfurea che diffonde odore di zolfo. Salici, pioppi ed ontani sono gli alberi che crescono lungo i corsi d’acqua. Il farfaraccio e l’equiseto li troveremo nei greti, all’ombra negli affossamenti. Le acque pure e fresche ospitano numerose specie ittiche tra le quali primeggiano le trote e i cavedani e tra i crostacei il raro gambero di fiume che è un indicatore del grado di purezza dell’acqua.
CEA - Centri di Educazione Ambientale di Borgo Pace e Lamoli
L’attività del CEA, che opera dal 1990 nella struttura turistica adiacente all’antica abbazia benedettina di San Michele Arcangelo, consiste nell’organizzare e proporre a scuole, gruppi e famiglie una serie di interessanti iniziative escursionistiche e didattico-scientifiche che si sono consolidate nel tempo ed hanno fatto di Lamoli un centro turistico di primaria importanza nella realtà marchigiana.
ALPE DELLA LUNA - Percorso Tra faggi ed abeti bianchi due aree floristiche preziose per le Marche
Da Lamoli parte una strada per la località Caliuga. Appena sopra le ultime case prendere a sinistra per le carbonaie. Dopo 200 m. una strada sulla sinistra attraversa un fossato con una secca curva e sale entrando nel bosco verso la Val Dorsaia. Trascurare al passaggio di un fossato una deviazione sulla destra tra due paletti. Ora lo stradone cammina dentro il vallone; ad una successiva biforcazione prendere a destra ed iniziare a salire con tornanti per giungere ad uno sterrato di cresta (sentiero CAI 85). Il sentiero passa in vista dei resti di Casa Scannella e dopo avere percorso tratti di cresta e di bosco sfocia nella strada che a sinistra scende verso il Lago del Sole. Subito dopo una sbarra, una variante sulla destra accorcia il percorso senza scendere al lago. In corrispondenza di un albero isolato si riprende il sentiero 85 con passaggio su una recinzione. Ad una successiva biforcazione prendere a sinistra per attraversare una bella faggeta con esemplari secolari. Dopo una parte più ripida si arriva sul crinale appenninico, percorso dal sentiero G.E.A. (S.I.). Sempre accompagnati dai seganli, camminate per 40 minuti nella faggeta e poi in alto sopra l’Abetina di Fonte Abeti. Un cartello “San Giustino 2/A” in un allargamento del sentiero segna la fine del crinale. Con curva a sinistra discendete per 10 minuti fino ad un rudere dove attraversate un pratone in leggera curva fino alla strada asfaltata di Bocca Trabaria. Il ritorno può avvenire lungo il sentiero 86 che vi riporterà al Lago del Sole.
Bocca Trabaria è una delle due stazioni marchigiane dove sopravvive l’abete bianco.
Fonte Abeti rappresenta l’ultimo residuo delle abetine che fino al sec. XII ricoprivano l’area dorsale della Massa Trabaria. Il manto boschivo è costituito prevalentemente da abete bianco con presenze di cerri e roverelle e più in alto, faggi. L’interesse botanico è dovuto alla presenza di alcune specie assai sporadiche nella regione come Cardamine chelidonia e Centaurea sylvaticum e la Luzulea nivea.
Il Fosso del Salaiolo è un complesso di prati e lembi boschivi costituiti per lo più da faggeta caduata e aceri di monte. I prati e le zone umide o subumide del fosso ospitano specie molto rare nella regione presenti in quetsa località ed in poche altre quali Chrysosplenium alternifolium, Stachis alpina, Petasites albus, Arisarum proboscideum.
Le Carbonaie
Quanto è antica la tradizione delle carbonaie? Le ricerche storiche e letterarie di chi si è appassionato a questo argomento ci ricordano come resti di carbone di legna siano tra i reperti preistorici legati alla lavorazione dei metalli. Altra annotazione sorprendente ce la tramanda 2000 anni fa Plinio il Vecchio (23 – 79 d.C.) nella Naturalis Historia, dove, dando per scontata l’esistenza della pratica della carbonificazione, ci indica il tipo di legname per i carboni “forti” e per quelli “dolci”. Solo in epoca rinascimentale avremo descrizioni delle tecnologie e dei metodi di lavorazione, a dire quanto la pratica della “carbonella” sia stata profondamente radicata nelle abitudini lavorative presenti negli insediamenti montani, rappresentando normale consuetudine di vita generalizzata e diffusa. Il saper fare concernente le procedure e i segreti, dal taglio del legname alla “cotta”, era evidentemente patrimonio di tutti, acquisito e garantito dal passaggio generazionale, se, come sembra, è sempre stato considerato banale e inutile soffermarsi sulla sua descrizione e diffusione letteraria. La praduzione di carbone di legna è sempre stata presente, a vario titolo, nelle pratiche delle società rurali appenniniche, voce di bilancio importante nei secoli trascorsi quando ricoprivano il ruolo di indispensabile fonte energetica, fino a diventare ai giorni nostri, prodotto di nicchia relativo agli usi domestici salutari ma evidentemente sufficienti a mantenere in vita questa pratica antica quanto l’uomo. A Borgo Pace le carbonaie sono la normallità. La vallata di Parchiule è il luogo dove “proliferano” e la vita dei suoi abitanti e residenti è scandita dai tempi delle raccolte, delle cataste, dei fumi azzurrognoli ed acri. Il mese di giugno inizia la preparazione delle “cotte”, secondo varie tipologie e abitudini. Una buona occasione per fare turismo di qualità, a contatto con le tradizioni della nostra gente.
Museo del Carbonaio - Una tradizione che non è andata in fumo
Orniello, cerro e carpino, questi sono gli alberi che danno il legno per le carbonaie di Borgo Pace. Meticolosamente tagliati a misura, gli spezzoni vengono ammucchiati e lasciati a seccare per un anno. Poi a maggio, giugno, arriva il lavoro di sempre. La preparazione della carbonaia inizia con la costruzione del “castello” che sarà il cuore della catasta. Tutto intorno saranno disposti i legni senza lasciare troppi vuoti, ricoperti alla fine dalla “camicia”, uno strato di paglia e poi terra. Finita la costruzione, arrampicati sulla sommità, si riempie il “castello” di brace, con rimbocchi successivi finchè questo non sia colmo. Inizia la lenta “cottura” pazientemente ed abilmente controllata dal carbonaio. Con una serie di fori sui fianchi della catasta, si determina la discesa della carbonificazione ed il suo completamento. Il lavoro dura una settimana e si raccoglieranno circa 25 q. di carbone di legna. Il Museo del Carbonaio, ospitato nelle stanze dell’Aula Verde, documenta tramite utensili, pannelli fotografici, documenti audio e video la storia, vita e lavoro dei carbonai. Il Museo è stato realizzato nell’ambito dell’iniziativa “Musei Partecipati” grazie al finanziamento della Comunità Montana dell’Alto e Medio Metauro, del Comune di Borgo Pace e della Provincia di Pesaro e Urbino. Ulteriori Approfondimenti Vedere Anche Pagina Musei......
Immagini fotografiche e testimonianze raccolte da: “I carbonai, un mestiere in bianco e nero” Pazzini, Verucchio, 1990.
Info Visite
ARTE NEL TERRITORIO DI BORGO PACE
Per la sua storia e la natura del suo territorio, l’abitato del Comune di Borgo Pace è distribuito in numerose frazioni e agglomerati rurali che ebbero spesso origine dai castelli medievali in cui si erano rifugiati gli abitanti. Visitando questi antichi insediamenti immersi nel verde della montagna appenninica, è facile imbattersi in significative testimonianze d’arte figurativa, affascinanti per la genuinità e la freschezza con cui ancora oggi interpretano lo spirito delle popolazioni che le vollero a ornamento delle loro chiese e degli artisti, normalmente locali, che le eseguirono. Di seguito diamo un elenco articolato per località.
Bogo Pace sull'altare laterale della chiesa di Santa Maria Nuova riedificata nel centro della piazza principale la tavola di Borgo Pace dipinto di scuola umbra della fine del sec. XV raffigurante la "Vergine col Bambino e Angeli". La stessa chiesa custodisce nell'abside una affascinante "Madonna col Bambino", gruppo statuario del sec. XVI in maiolica policroma di Casteldurante (Urbania), lungo le pareti "le quattordici targhe della Via Crucis", opera in maiolica policroma eseguita in Urbania da Federico Melis.
A Lamoli, antica "Castrum lamularum" nella Abbazia benedettina dedicata a S. Michele Arcangelo, si trovano "tre affreschi" che raffigurano una Madonna in trono che allatta il Bambino, San Rocco e San Giuliano risalenti alla fine del sec. XV.
A Castel de' Fabbri sull'altare maggiore della chiesa di San Bartolomeo "l'affresco del sec. XIV" di scuola mercatellese che raffigura la Crocifissione; notevole anche il "portale d'ingresso" della chiesa, scolpito in arenaria e datato 1426.
A Palazzo Mucci, caratteristico agglomerato rurale già castello fortificato nel sec. XIII, fa mostra di sé un pregevole "palazzetto signorile del XVII sec." in cui nel 1802 fu ospite Luciano Bonaparte, fratello di Napoleone. Mentre la graziosa chiesa parrocchiale di S. Floriano si trova "extramuros". Nella parrocchia di San Floriano, sull'altare maggiore intagliato e dorato, spicca la "tavola del Crocifisso" coi Santi Giovanni Evangelista, Bonaventura e Nicola, dipinta nel 1581 dal durantino raffaellita Giustino Episcopi.
A Figiano la chiesina romanica di San Leone, la parete dell'abside è coperta di "affreschi del sec. XIV" raffiguranti al centro una crocifissione e ai lati le immagini di Santa Lucia, di S. Apollonia e l’Annunciazione.
Parchiule, delizioso borghetto preromanico con case antichissime costruite con blocchi di arenaria e conci, molte rinascimentali di stile tosco-marchigiano, con loggette adornate di fiori. La chiesa di Santa Maria agganciata col ponticello all'Oratorio della Madonna del Bell'Arnore, rappresentata dalla venerata immagine della Vergine col Bambino tra due Angeli, contiene opere di interesse artistico: negli ornati in legno intagliati dal vadese Giampiero Zuccari nel sec. XVII, si mostrano la "tela dell'Annunciazione" dell'altare maggiore, la "Madonna del Rosario" coi Santi Domenico e Caterina da Siena dipinta da Giovanni Francesco Guerrieri da Fossombrone intorno al 1636.
ABBAZIA BENEDETTINA S.MICHELE ARCANGELO
Ora Et Labora
Se percorressimo, a ritroso nel tempo, più di duemila anni, avremmo la possibilità di visualizzare la stretta valle lamolese in epoca romana (III secolo a.C.). Probabilmente questa si presentava come un insediamento rurale, un pagus, sottoposto alla giurisdizione di Tifernum Tiberinum (Città di Castello). Lentamente, nel VI secolo d.C., il pagus scompariva trasformandosi in castra: nasce il Castrum Lamularum (Castello delle lame o delle lamule), sede del Vicariato di Lamoli. Il Castrum, protetto da possenti cortine murarie, intervallate da torri, e raggiungibile solo attraverso un ponte, ancora esistente, era ben distinto dall’Abbazia fortificata (Badia de l’Amola), fondata pochi anni dopo la morte di San Benedetto (VI secolo). Grazie ai Benedettini, Lamoli, divenne una famosa fabbrica di travi: queste ultime, inviate come tributo a Roma, con il marchio AUF (Ad Usum Fabricae), erano utilizzate nell’edilizia civile e religiosa della citta dei papi. Continuando il nostro viaggio nella storia di Lamoli, scopriremmo che in seguito alla donazione carolingia della Pentapoli a favore del Papato (fine VIII secolo), il Castrum Lamularum fu sede del Legato della Massa del Beato Pietro (Massa Trabaria). Al XIII secolo, invece, risalgono lo Statuto (Statuti Castri Lamularum) e il Nullius. La decadenza iniziò con il XIV secolo, quando, i Benedettini abbandonarono il sito poi ceduto ad Abati Commendari, fino al XIX secolo. Con la soppressione della Commenda i beni dell’Abbazia caddero sotto la sfera giuridica della Cattedrale di S.Angelo in Vado. Ai giorni nostri, del compleasso abbaziale e del Castello, rimangono la Chiesa di San Michele Arcangelo e alcuni ruderi. La costruzione del primitivo nucleo della Chiesa, più volte restaurata, risale al VII secolo. L'edificio in tardo stile romanico, realizzato in arenaria, è suddiviso in tre navate, e consta di un ampio presbiterio rialzato. Vedi Anche Pagina Luoghi di Culto....
ALTRI LUOGHI DI INTERESSE STORICO CULTURALE
Museo dei Colori Naturali "Delio Bischi"
Il Museo dei Colori Naturali è dedicato alla memoria di Delio Bischi, veterinario ed illustre studioso di Piobbico, alla cui passione ed opera si deve la riscoperta delle tradizioni del Guado. Creato e gestito dalla coop Oasi San Benedetto, il museo è il centro di gravità di varie iniziative e attività per la conservazione delle tradizioni e la rivalutazione dei colori naturali. Il percorso museale inizia nei pressi dell’edificio con il campo catalogo dove sono a dimora alcune delle piante tintorie come guado, tagete, cartamo, robbia, reseda. Qui fa bella mostra di sé la ricostruzione della macina, una possente “ruotante” ceh lavorava da queste parti trecento anni fa. All’interno, un piccolo laboratorio è adibito alla lavorazione dei pigmenti e alla preparazione dei bagni di tintura in diretta di lane e filati. La coop Oasi San Benedetto organizza e promuove corsi e stage rivolti a scuole e privati, percorrendo tutte le fasi, dalla raccolta delle piante alla produzione del colore.
L’anitca tradizone del guado
Il guado, crucifera erbacea biennale, conosciuto fin dall’antichità ( Plinio, Historia Naturalis), fu coltivato e commercializzato in tutta Europa per tingere di azzurro i tessuti fini al XVII secolo. Ebbe grande svilupo nell’area montana della provincia di Pesaro e Urbino come testimoniano i numerosi documenti di archivio, con descrizione di modalità di coltivazione, unità di misura sui piani di guado, regole per la conduzione dei maceri e soprattutto il ritrovamento di un centinaioo di apposite macine da guado che Delio Bischi scoprì, studiò e catalogò. A Lamoli, presso l’Oasi di San Benedetto, è stato creato un museo delle tante piante tintorie, conservando la pratica della tintura naturale, della coltivazione dimostrativa delle varie specie fino alla coloratura di prodotti vari, dai tessuti alle lane, ad oggetti vari. Vedi Anche Pagina Musei....
Museo della Civiltà Contadina Appenninica
Non è facile mantenere i legami con il tempo, con le testimonianze di vita, del lavoro e delle tradizioni che mantengono la memoria delle nostre origini. Nei pressi di Borgo Pace l’azienda agrituristica Sacchia, per opera e passione dei proprietari conserva nel suo edificio una composita raccolta frutto di ricerche e di generose donazioni. Qui possiamo trovare conservati vecchi attrezzi, macchinari, strumenti ed utensili che hanno segnato e accompagnato la civiltà contadina e la vita nelle campagne. Alcuni “pezzi” hanno solo poche decine di anni ma già dimenticati e distanziati dal progresso che si muove alla velocità della luce. Ma non possiamo nascondere lo stupore e la sorpresa di quanto fossero geniali i nostri predecessori enl fare, con l’uso del solo legno, macchine sofisticatissime! Per informazioni Tel. 0722 89358
IL PALAZZO GANGANELLI DI BORGO PACE
Lorenzo Ganganelli - Padre del Pontefice Clemente XIV
Pochi sanno che a Borgo Pace si conservano le reliquie dell’antico palazzo nel quale è nato il padre del Pontefice Clemente XIV (1769-1774), il medico Lorenzo Ganganelli. Nonostante le gravi perdite dovute alle mine tedesche brillate nell’agosto del 1944, si conservano intatte la cantinetta e alcuni ambienti che si affacciano verso il Metauro. L’edificio di Borgo Pace, oggi abitato dai Mistura, non era una villa suburbana. Faceva parte dell’agglomerato di case che attorno alla chiesa di S. Maria Nuova costituivano il centro del paese. Il Palazzo non fu costruito dai Ganganelli per la loro tranquillità, come qualcuno ha scritto. Si trattava, invece, dell’abitazione di Porzia Franceschi, sposa di Alessandro Ganganelli, nonno del pontefice, il quale nel 1640, potendosi avvantaggiare del patrimonio della moglie, aveva scelto Borgo Pace per la sua nuova famiglia. In quel Palazzo nacquero tutti i suoi figli e gran parte dei parenti del pontefice. Una fotografia scattata negli anni ’20 del Novecento ci mostra gli eredi Berardi-Ganganelli seduti sull’uscio della porta della loro casa di Borgo Pace. L’edificio non appare modesto e nemmeno signorile. Non ci si deve stupire. Alessandro, nonno di Clemente XIV (fra Lorenzo Ganganelli, 1769-1774), era “magister sarcinator”, ovvero trasportatore, porta bagagli, postiglione. Queste le origini, evidentemente non nobili, del pontefice. Tuttavia, i Ganganelli di Borgo Pace e di Sant’Angelo in Vado si fecero strada da soli, ancor prima della promozione cardinalizia, avvenuta nel 1759, e della successiva elezione a pontefice del frate minore conventuale Lorenzo, al secolo Giovanni Vincenzo Antonio Ganganelli (1705-1774). La nobiltà vera e propria fu raggiunta solo con il nipote di Alessandro, Pietro Paolo Ganganelli, cugino del papa, insignito il 3 aprile 1744 del grado di nobile Capitano di Maria Teresa Regina d’Ungheria e di Boemia, dopo aver militato molti anni nell’esercito imperiale.
Fu la madre di Pietro Paolo, la Signora Benedetta Bischi di Palazzo Mucci, a trasferire la sua famiglia a S. Angelo in Vado dove pure fu sepolta nel 1728. Nella vicina cittadina, i Ganganelli abitarono alla “Gavina”, una villa poco fuori le mura. È documentato, tuttavia, che il Capitano Pietro Paolo aveva anche un Palazzo nei pressi del duomo di Sant’Angelo in Vado, al centro della città, sino allo scorso secolo rimasto in proprietà agli eredi. I Borgopacesi poterono rivendicare la patria del Pontefice proprio per la casa nella quale visse Alessandro Ganganelli e nacque Lorenzo, rispettivamente nonno e padre del pontefice. Una conferma giunge dai manoscritti conservati nell’Archivio del Convento dei Santi Apostoli in Roma, e precisamente dagli appunti del padre Francesco Antonio Benoffi, storico dell’Ordine Minore Conventuale, nonché amico personale del Ganganelli. Lo scritto, parte di una più ampia vita del pontefice rimasta in bozza, ripercorre minutamente la questione della patria, mettendo in luce qualche novità significativa: «Il Castello di Borgo Pace è compreso nella Diocesi di Urbania, quale chiesa figliale della collegiata di Mercatello. Da Borgo Pace discende la famiglia Ganganelli, che vi ha casa di antica abitazione, e dove sono nati tutti i discendenti Ganganeelli [...]» [1770 ca.]. Benoffi ricorda che fu Pietro Paolo, cugino di Clemente XIV, ad acquisire il Palazzo di Sant’Angelo in Vado. L’abitazione dei Ganganelli, almeno dal 1640 e fino alla prima metà del Settecento rimase, quindi, unicamente nel vicino villaggio di Borgo Pace. Solo più tardi, in data ancora imprecisabile, il Palazzo Ganganelli di Borgo Pace divenne, come risulta anche dagli scritti dell’erudito Sebastiano Caprini, abitazione “per la villeggiatura” della famiglia del pontefice. Ulteriori Approfondimenti Pagina Personaggi Illustri....
Fonte: Massimo Moretti
BORGO PACE, CENTRO IDEALE DELLO SPORT E DELLA SALUTE
La felice posizione geografica, le condizini climatiche ed ambientali particolarmente favorevoli, la presenza di ottime strutture sportive e ricettive, hanno fatto di Borgo Pace nel corso degli anni un delle mete più ambite per raduni, tornei e ritiri precampionato. Nel bellissimo campo da calcio si sono svolti dal 1980 in poi ritiri si squadre professionistiche (Bari, ascoli, Messina, Sanbenedettese, …….) mentre il modernissimo e funzionale Palazzetto dello Sport, recentemente inaugurato, è diventato sede abituale per il Basket nazionale giovanile. Nel 2007 a conclusione del ritiro della nazionale U 18 Maschile si è svolto il I° torneo Internazionale Alpe della Luna con la presenza delle delegazioni di Grecia, Germania, Israele e Slovenia. In seguito alla buona riuscita dell’evento l’attività della Federazione Italiana Pallacanestro si è ulteriormente arricchita con la ripetizione del Torneo che ha cadenza annuale e i raduni di varie rappresentative nazionali giovanili comprese quelle femminili. A completare l’offerta turistica ed ampliare il polo sportivo un verdeggiante campo da golf a cura del “Golf Club Alpe della Luna” abbraccia maestosamente le colline vicino al paese. Borgo Pace si conferma quindi centro ideale dello sport, del benessere e della salute.
I PRODOTTI TIPICI
La patata rossa
Il territorio di Borgo Pace, per lo più montano, presenta terreni di natura sciolta e ricchi di potassio e magnesio, le condizioni ideali per la coltivazione della patata. Presente da più di 60 anni nie campi del Meta e dell’Auro, rappresenta uno degli ingredienti di base dell’alimentazione delle genti di montagna. La patata rossa, grazie alla consistenza della polpa giallo chiaro è ideale per gli gnocchi. Un apposito disciplinare del luogo ne regola la coltivazione, rifiutando fertilizzanti e antiparassitari, affidandosi invece per la lotta alla temibile “dorifora” al naturale metodo della rotazione agraria, privilegiando la qualità sulla quantità. Dall’anno 2002 la patata rossa è nelle attenzioni dell’Amministrazione comunale e oggetto di studio e ricerca del CISA (Centro Interprovinciale di Sperimentazione Agroalimentare) che ne ha stabilito le eccellenti qualità organolettiche, facendone uno dei simboli della gastronomia borgopacese. Ecco allora profumatissimi tortini al tartufo bianco, ottimi gnocchi, splendide zuppe, invitanti dolci, un semplice pane. Ma l’illidio con la tavola lo raggiunge nelle fritture e negli arrosti o alla brace, reggendo bene la cottura e mantenendo la croccantezza. Il momento di gloria che Borgo Pace gli dedica è l’ultimo weekend di agosto con la Festa della Patata Rossa, durante la quale il pregiato tubero viene beatificato dalla sapienza ed abilità culinaria delle mamme e delle nonne borgopacesi.
MENU' ENOGASTRONOMIA - DISCIPLINARE DELLA PATATA DI SOMPIANO
MANIFESTAZIONI ESTIVE
GUARDA IL VIDEO
Le Carbonaie
Borgo Pace anche nella pagina Facebook di AvventuraMarche
POSSIMO EVENTO
Disclaimer . Privacy . P.IVA 02377840422 .