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Torneo Cavalleresco "Castel Clementino"

  • prov FM
  • città Servigliano

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Si ringrazia Torneo Cavalleresco "Castel Clementino" per la collaborazione.

 



 

STORIA

Nel 1450 l'Abate di Farfa cedette alla Comunità di Servigliano la Piana di San Gualtiero. Per festeggiare l'avvenimento, testimoniato con una pergamena, furono indetti giochi. Dal 1969 questo momento storico viene fatto rivivere nel fine settimana della terza domenica di Agosto, con il Torneo Cavalleresco di "Castel Clementino", rievocazione storica in costume del XV secolo. Il corteo con oltre 300 figuranti propone un'escursione unica ed affascinante nella storia del costume italiano. Gli stupendi abiti, realizzati dalle sartorie locali, sono riproduzioni fedelissime dei modelli tratti dai dipinti dei maestri dell’epoca, quali il Crivelli, il Ghirlandaio ed altri. Dopo il sontuoso corteggio e lo spettacolo degli sbandieratori, la manifestazione propone la Giostra dell'Anello fra i cavalieri rappresentanti dei rioni. Dal 2000 gestisce la rievocazione un apposito Ente Torneo, che ha rinnovato la manifestazione e l’ha resa ancor più avvincente. Così anno dopo anno la "Città Ideale", si tuffa nella storia delle tradizioni cavalleresche del XV secolo. Il borgo settecentesco, progettato dall’architetto Virginio Bracci, è uno dei primi esempi della città moderna e si sviluppa su un piano urbanistico quadrangolare.

Porta Marina, Porta Navarra, Porta Santo Spirito, insieme con Paese Vecchio e Rione San Marco, sono oggi i nomi dei Rioni che si cimentano nella Giostra dell’Anello: gara tra cavalieri che si affrontano su un percorso ad ‘otto’ in quattro tornate per centrare 12 anelli di diverse dimensioni. Ed è proprio qui che il Torneo Cavalleresco di “Castel Clementino” raggiunge il suo apice: i rionanti si calano nel passato e vivono la tenzone sfoderando tutta la loro grinta. La loro passione, la loro voglia di aggiudicarsi il Palio, opera di pittori di fama nazionale, per far prevalere i colori rionali. Lance in alto, squilli di trombe e rullo di tamburi danno il via al gran corteo. Tutto come allora e non solo esteriormente. L’animo dei rionanti è tale e quale, l’influsso del XV secolo è sempre vivo e si respira in tutta Servigliano. La città si traveste con i colori dell’epoca: un vestito che supera la superficiale impressione folkloristica per diventare ricerca storica e filologica con la riproposizione fedele di costumi e coreografie. Una ricerca sentita, che vede mobilitata tutta la città: arazzi, bandiere, scudi, sfarzosi costumi. E l’allestimento scenico trova anche una corsa alla ricerca del cavallo migliore da poter far competere. Cavalieri d’eccezione, in campo anche a Foligno, Faenza, Ascoli, nei migliori palii italiani. Perdere un Palio per molti anni è segno di sconfitta e debolezza per i residenti.

 

I FESTEGGIAMENTI

Il momento centrale della rievocazione comincia il sabato sera. Al vespro, quando il sole si allunga e squarcia con tagli disarmonici l’interno del paese, inconsuete figure in costume medioevale si agitano ed accendono le mille torce appese ai muri, agli archi, alle porte. Man mano che l’oscurità ammanta l’incasato, gli spettatori si assiepano intorno alle staccionate: partecipano al calore della serata. Quando l’atmosfera è pregna dell’odore della cera e l’oscurità ha preso il sopravvento sulle cose, il brusio della gente viene gelato dall’esplosione dei tamburi e dagli squilli delle chiarine dorate. Come per magia si esce dal vorticoso convulso della nostra civiltà e si entra nella calda dolce intimità della storia. L’araldo, con austera imponenza, sul balcone municipale addobbato con le bandiere dei rioni, annuncia la solennità della serata. Fanno ingresso in piazza Roma i gruppi dei tamburini: anticipano i gonfaloni che ostentano i colori e simboli, ed annunciano le figure che seguono nel piccolo corteo, primi fra tutti i consoli seguiti dalle dame nella loro bellezza e fragranza. Incastonata ogni figura nello scenario del centro storico, tacciono i tamburi, mentre una voce calda - la voce della storia - accompagna il pubblico, attore e spettatore, ad ogni singolo avvenimento...

Da Porta Santo Spirito si ode la campanella del carro ecclesiale che si eleva sul coro di voci dei popolani che intonano una lauda di Iacopone da Todi. Questi scortano insieme con pochi armati l’Abate di Farfa, che dal colle di Santa Vittoria in Matenano porta ai signori notabili della vita amministrativa di Servigliano la pergamena con la quale più tardi si sancirà la cessione della piana de Lo Sancto Gualtiero: si torna indietro nel tempo, all’anno di nostro Signore 1450. Il carro viene accolto da un rullio di tamburi e da squilli di chiarine, sosta dinanzi alle autorità, da esso scende l’Abate di Farfa, imponente con la sua cocolla bianca. L’atmosfera così austera, d’un tratto si colora di grande religiosità e quel raccoglimento viene rotto dal suono delle campane della Collegiata di S.Marco che annuncia la processione che sale dal borgo: è il corteo, anticipato dai chierici con i turiboli fumanti d’incenso, con il Prevosto e gli anziani dei rioni (trasportano la Madonna del Piano, una statua lignea del 1500).

Sul sagrato della Collegiata si portano il Magnifico Messere, l’Abate di Farfa, il Gran Cerimoniere: in religioso silenzio si ascolta la lettura dell’antico documento - la pergamena - e, recuperando il fascino dell’antica preghiera, il Prevosto benedice gli astanti. L’araldo irrompe di nuovo nell’atmosfera liturgica e annunzia che per volontà del popolo tutto, per celebrare solennemente l’avvenimento (dunque, la cessione della piana di San Gualtiero alla Comunità di Servigliano), si “Habbia a correre una giostra de lo anillo”. Solenne la lettura del bando. Ed allora il pubblico che ha partecipato curioso si anima, un vero tifo esplode dietro le staccionate. Il ritmo del cerimoniale cresce: dal palco d’onore si portano al centro della piazza le illustri figure. I Consoli dei Rioni scandiscono a voce nuda il nome del campione che il giorno seguente difenderà i colori del rione; dopodiché fanno il loro ingresso uno alla volta i cavalieri giostranti. Le loro figure slanciate sulle cavalcature, insieme con lo scalpitio degli zoccoli dei cavalli, recuperano il fascino del Torneo. Il primo cavaliere si avvicina alla propria dama e le porge la lunga lancia, questa gli cinge il puntale con il fazzoletto - pegno d’amore - con i colori del rione: è il motivo centrale del sorteggio (effettuato con giochi pirici) per l’ordine di partenza dei cavalieri, che il dì seguente si sfideranno nella Giostra dell’Anello.

Scende il silenzio, proprio perché l’ordine di assalto dei cavalieri è fondamentale per il buon esito della tenzone. Ora l’araldo chiama in campo i tamburi: entrano nella piazza a passo cadenzato e danno sfoggio della loro maestria. La serata, galvanizzata dai suoni, colori, profumi e suggestioni, si prepara all’atto conclusivo che spetta ad una compagnia di artisti di fama nazionale. Terminati i cerimoniali ed i rituali del sabato, i cortei fanno rientro nelle rispettive sedi. Sarte, calzolai e cerimonieri dei rioni vegliano ed approntano il fastoso corteo storico del giorno dopo, mentre i rionanti propiziano la vittoria nelle taverne.

 

I COSTUMI

Trent’Anni di Storia Trent’Anni d’Arte

Aspetto dominante del Torneo Cavalleresco è il corteo: 300 abiti prerinascimentali animano la parata, frutto di studi e certosina realizzazione. Dal 1969 le sartorie rionali hanno compiuto passi da gigante, fino a dar luogo all’Accademia Clementina, dove le ricerche sul modo di vestire di fine 400 vengono continuamente aggiornate. Oggi è possibile che un dipinto torni a... rivivere. L’affinamento del gusto, lo studio sempre più ampio delle fonti e delle documentazioni, la lettura dei saggi sulla storia del costume, unita sempre alla minuziosa osservazione delle pitture e delle produzioni plastiche rinascimentali, hanno indotto le sarte locali all’applicazione sempre più rigorosa di un metodo scientifico teso alla riproduzione, quanto più rispondente possibile, del modello prescelto. La sequenza operativa è diventata da allora fissa: scelta del modello pittorico, quindi si passa all’esecuzione di un bozzetto esplicativo per i lavoranti, volto a dispiegare maniche accartocciate o comunque riprodotte in maniera non perfettamente visibile a compiere, basandosi sui dettami della moda del tempo, le più probabili integrazioni di linea delle parti mancanti. Il bozzetto è ancora necessario all’estrapolazione e riproduzione a grandezza naturale di imprese o dettagli di ornato delle stoffe. Si correda gli schizzi e i tratti grafici con note riguardanti i materiali da utilizzare e le eventuali fodere presenti, con relative tinte, ed anche il numero di augelli o di bottoni, la foggia ed il materiale del cappello, della calzabraga e delle calzature. Una scelta quindi del tipo di tessuto, operata in base alla suggestione fornita dalla “testimonianza picta”, applicando contemporaneamente la conoscenza della qualità dei panni in uso nel periodo storico fissato per la rievocazione. Si studia la modalità di costruzione secondo la metodica del “mettere e levare” dettata dall’altezza dei tessuti originali e non di quelli prodotti dalle macchine moderne, per ricreare le ampiezze e le linee desunte dalle documentazioni.

Si gioca d’ingegno per ricostruire gioielli da capo o di ornamentazione dell’abito o accessori con materiali e prodotti di bigiotteria che non sono ovviamente fabbricati per un uso similare all’antico. Le calzature sono studiate e realizzate anch’esse in modo rigoroso, derivandone di volta in volta la calza solata, la pianella o lo zoccolo con rispondenza di colore ed utilizzando pellami che riproducono l’impressione di morbida aderenza che dall’icona deriva. Rinascono così la Maddalena del Crivelli di Montefiore dell’Aso e di Carpegna ora ad Amsterdam; il San Giorgio del polittico di Ascoli Piceno; il bambino dell’Annunciazione sempre di Ascoli ora alla National Gallery, o il San Venanzo del polittico di Camerino ora a Brera, sempre dello stesso autore. Rivive il San Venanzo del Boccati di Belforte del Chienti, o il giovane in corteo e colorato farsetto e calzabraga della predella con l’Adorazione dei Magi ora agli Uffizi di signorelliana memoria o anche l’imperatore Giovanni VI Paleologo del corteo dei Magi affrescato nel palazzo Medici Ricciardi del Gozzoli a Firenze, o le riproduzioni di “studi di costumi” del Pisanello ora al Museo Condè di Chantilly e tanti altri ancora. Figurazioni da Ercole de Roberti, Ghirlandaio, Baldassarre d’Este. Pure estenuanti sono le sedute dalla parrucchiera, delle giovani dame prescelte, per ottenere complicate costruzioni intrecciate, lievite capigliare, effetti di mosso che diano l’illusione di veder camminare per la piazza, candite ed altere, Simonetta Vespucci, Ginevra d’Este, Ludovica Tornabuoni, o l’incantevole dama del Pollaiolo del Poldi Pezzoli. Nel complesso, il lavoro delle sartorie ha reso l’appuntamento di Servigliano uno tra i più importanti nell’ambito delle feste di rievocazione storica, rappresentandone il “bel costume” l’aspetto più originale, caratterizzante e difficilmente riproducibile. 

 

GIOSTRA DELL’ANELLO - I RIONI

Rione Porta Marina

 

Rione Porta Navarra

 

Rione Porta Santo Spirito

 

Rione Paese Vecchio

 

Rione San Marco

 

IL PALIO

Il Palio è l’oggetto della contesa. In trentasei edizioni del Torneo Cavalleresco è stato dipinto da vari artisti. Drappi più o meno appariscenti, quasi tutti di rara bellezza. Dall’anno della "prima", quando il compito di confezionarlo venne assegnato a Orestina Viozzi, la continua ricerca di perfezionare e arricchire il "trofeo" ha sortito effetti visibili oggigiorno nelle sedi rionali. I pittori si sono sbizzarriti nel riproporre il "quadrato" di Virginio Bracci, la Collegiata di San Marco, i simboli dei rioni, i cavalieri impegnati nella Giostra. Negli anni Settanta il sangiorgese Pompeo Pompei, caricaturista di fama internazionale, firma cinque cenci divenuti storici. Gli anni Ottanta sono stati caratterizzati da Sandro Trotti (con il cavaliere stilizzato, simbolo della rievocazione), Franco Pizzicato e Giorgio Guarnieri. L’ultimo decennio ha visto alla ribalta il duo Vallesi-Eleuteri, autore nel 1993 del magnifico Palio del venticinquennale conquistato da Paese Vecchio raffigurante San Servigliano martire che indica Castel Clementino, e Valerio Valeri (in arte Azzolino, uno dei più grandi pittori contemporanei italiani), allievo di maestri toscani formatosi all’alta scuola lucchese e fiorentina. Ci sono drappi stimati decine di milioni, vere e proprie opere d’arte e testimonianza postmoderna dei fasti paesani.


Giostra dell’Anello

I rioni contro: è la tenzone, il rumore prepotente degli zoccoli dei cavalli, la vittoria. La Giostra dell’anello ha il peso di un macigno sulla rievocazione: i vincitori possono gioire, fregiarsi del cencio conquistato; agli sconfitti non resta che l’onore delle armi (a talvolta neppure quello). Il Torneo Cavalleresco di Castel Clementino si caratterizza per la contesa del Palio, cresciuta a dismisura negli anni Settanta e consolidatasi negli ultimi tre lustri. Per un cavaliere giostrante, vincere a Servigliano equivale ad arricchire il palmares personale di un grande sigillo. Alla stregua di quelli di Foligno, Ascoli Piceno, Faenza. A rendere dura e selettiva la competizione sono le quattro tornate, caso unico nelle Giostre dove il percorso si cavalca in più di sessanta secondi. Quattro manches sono dure e massacranti (per il binomio cavaliere-destriero), ma assicurano spettacolo nelle due ore di gara, dove l’adrenalina la fa da padrona nello stato d’animo degli spettatori.

Cinque protagonisti, uno contro l’altro, intenti ad infilare dodici anelli di dimensioni a scalare di 8, 7, 6, 4.5 centimetri: ecco la Giostra dell’anello. La pista, lunga 880 metri, è a forma di otto ed è delimitata da circa 450 bandierine colorate in legno. Percorrendola nel tempo record di 1’02”8, significa volare a 14 metri al secondo o 50 chilometri orari. In ogni tornata i duellanti sono chiamati ad affrontare tre rettilinei, cinque piegate e tre diagonali al centro delle quali c’è il braccio porta anelli alto 213 centimetri dove vengono posizionati i "bersagli". Dal 1969 al 1989 le tenzoni hanno avuto luogo nel vecchio campo de li giochi, ovvero sul rettangolo di gioco del campo sportivo “E.Settimi”. Abili mani hanno garantito un tracciato perfetto: morbido in curva, abbastanza veloce lungo i tratti dove il berbero può sfogarsi. Il 1990, anno della XXII edizione, può essere considerato come l’inizio dell’era moderna: la Giostra cambia sede. Da allora viene disputata nel centro ippico, un impianto da diecimila posti seduti, vero fiore all’occhiello della vallata del Tenna, corredato da paddock, settore scuderia e box all’avanguardia.

I rionanti vivono la Giostra dell’anello con ansia e trepidazione. Inutile nasconderlo: godono nel veder primeggiare il proprio amato cavaliere, ma in caso contrario può bastare la resa del protagonista del rione rivale per lenire delusioni e sofferenze. Ma il Palio è anche questo: gioie e dolori sovente vanno a braccetto. Nella settimana antecedente la tenzone trovano spazio l’attesa, i pronostici, i riti scaramantici. I cavalieri giostranti hanno tre giorni a disposizione per provare cavalcata, lance, speroni e morsetti, e far adattare il destriero all’otto serviglianese. Questo avviene il giovedì, venerdì e sabato mattina. Nel frattempo è compito degli addetti al tifo posizionare al campo de li giochi vessilli e bandiere a mò di curva di stampo calcistico. La notte prima del grande evento in molti la passano senza chiudere occhi chi a vegliare il cavallo (un tempo tutto ciò era più romantico...), chi a gozzovigliare nelle taverne rionali nel tentativo di propiziare la vittoria. Ma in pista, il pomeriggio susseguente, saranno loro, i cavalieri, le uniche vedette da ammirare e venerare. Il successo arriderà al più valoroso, proprio come avveniva nel medioevo.

Per ulteriori approfondimenti visita il sito del Torneo Cavalleresco www.torneocavalleresco.it

 

 

 

 

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