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Ricordando Adriano: articolo tratto dall'archivio del giornale della regione Marche
A colloquio con il restauratore della tomba di Nefertari
C'è un filo diretto che unisce la città dei Ghezzi all'antico Egitto. Basta seguirlo e si arriva ad Adriano Luzi, restauratore di fama internazionale, originario di Comunanza. Adriano Luzi ha legato il suo nome a importanti restauri, tra cui la tomba di Nefertari, i dipinti murali del Monastero copto-ortodosso di Saint Antony e la Piramide di Caio Cestio, a Roma. Per rendergli omaggio, il Comune in passato ha organizzato un ciclo di incontri sull'antico Egitto. Il primo fu dedicato al restauro della tomba di Nefertari, la più bella fra tutte le tombe egizie; il secondo a Cleopatra, regina d'Egitto, presente Carla Alfano, curatrice della mostra di Palazzo Ruspoli a Roma e lo storico dell'arte Stefano Papetti; l'ultimo incontro, è stato dedicato al recupero dei dipinti murali del Monastero copto- ortodosso definito, per la sua bellezza e per la sua spiritualità, "l'Assisi dell'Oriente".
Scoperta nel 1904 dall'archeologo Ernesto Schiaparelli, la tomba di Nefertari, amatissima moglie del faraone Ramses II morta oltre tremila anni fa, si trovava in condizioni piuttosto precarie, a causa dell'umidità e delle infiltrazioni di acqua piovana che minacciavano di far scomparire per sempre i bellissimi dipinti murali. "In realtà, i danni maggiori sono stati provocati - precisò lo stesso Luzi - dalle scellerate iniezioni di gesso e vinavil nell'intonaco durante il restauro degli anni Cinquanta". L'allarme, comunque, fu raccolto dal Geffy Institute Museum, che mise a disposizione due milioni di dollari per il restauro. I lavori iniziarono nel 1986 e terminarono nel '92: un intervento delicatissimo, condotto nel massimo rispetto dell'opera da un'équipe internazionale di restauratori guidata da Paolo e Laura Mora dell'Istituto centrale del restauro di Roma che, per questo lavoro, ricevettero nel '97 a Sassocorvaro il premio Pasquale Rotondi assegnato ai salvatori dell'arte.
Come fu eseguito il difficile restauro?
Nella prima fase, ricordò Adriano, si provvedette a stabilizzare i dipinti, applicandovi sopra migliaia di fasce di garza di cotone e di carta giapponese. Poi furono puliti e consolidati gli intonaci, con iniezioni di resina acrilica. Infine, dopo l'incollaggio dei frammenti distaccati, si passò al restauro vero e proprio, che interessò sette stanze dell'ipogeo, per una superficie complessiva di 520 metri quadrati, compresa quella delle suggestive volte stellate. I dipinti raffigurano scene tratte dal Libro dei Moffi e sono di grande fascino. "Impossibile descriverli. Bisognerebbe vederli", disse. Purtroppo a vederli sono solo pochi fortunati. Terminato il restauro, la tomba fu chiusa al pubblico e oggi può essere visitata solo da un numero limitatissimo di persone. Le parole di Luzi alla domanda "Cosa si prova a restaurare una grande opera?" furono: "È stata un'esperienza davvero straordinaria, di quelle che capitano una sola volta nella vita. Sono rimasto continuativamente, notte e giorno, nella tomba per un anno e mezzo e, anche se la mummia di Nefertari non c'era perché trafugata, ho sempre continuato ad avvertirne misteriosamente la presenza. Strano, vero?"
Luzi partecipò al restauro della tomba dei Leopardi e della tomba Giustiniani, a Tarquinia. "Le tombe etrusche - spiegò - sono fredde, vi si sente l'angoscia della morte. Ricordo che quando lavoravo nelle necropoli etrusche, eravamo terrorizzati dalla paura di rimanervi chiusi. Quella di Nefertari è stata, invece, un'esperienza profondamente diversa, perché diversa era la civiltà egizia, capace di vivere un rapporto sereno con la morte. Per questo dentro si stava bene: si aveva la sensazione di stare a casa e il tempo scorreva senza che ne sentissi il peso. Era come vivere in un'altra epoca, lontana dalla nostra. Tremila anni di storia separati da un cunicolo e da una porta blindata: fuori: la sabbia rovente del deserto, il vociare dei turisti accaldati, la luce abbagliante del giorno; dentro, il silenzio "assordante", la luce artificiale delle lampade, il caldo secco della tomba e, soprattutto, il lungo, paziente lavoro di restauro. Una sensazione che non ho mai più provato" nemmeno quando restaurò i dipinti murali del sacello della Piramide di Caio Cestio Epulone, una stanza di sette metri per quattro con una volta a botte, dove si stava davvero male. Luzi raccontò, infine, il restauro dei dipinti murali del Monastero copto-ortodosso di Saint Antony, 350 chilometri a sud del Cairo, vicino al Mar Rosso: sei chiese ed un gruppo di monaci che pregano venti ore al giorno. "Anche questa - disse - è stata un'esperienza fuori dal mondo." I dipinti murali sono databili tra l'VIII e il XII secolo e sono anch'essi molto belli, con un'iconografia piuttosto strana: sono le prime raffigurazioni dei santi e delle simbologia cristiana". Quando pensava all'Egitto Luzi confessò di averne nostalgia e di sentirsi un po' egiziano: "Mi porto dentro l'anima di quel popolo, la loro cultura, la loro civiltà millenaria", ammise in un'intervista.
VI INVITIAMO A CONSULTARE ANCHE LA PAGINA DI PRESENTAZIONE DEL COMUNE DI COMUNANZA
La Fondazione Cassa di Risparmio di Ascoli Piceno in collaborazione con il comune di Comunanza, organizzano la presentazione del volume "Luce nel restauro" dedicato ad Adriano Luzi restauratore di fama internazionale nato e vissuto a Comunanza. Al convegno interverranno critici, restauratori, esperti, professori, amici e collaboratori di Adriano.
La cerimonia si svolgerà a Comunanza presso l’Auditorium a Lui dedicato, il 18 giugno 2011 alle ore 16,30.
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