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Enrico Mattei

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BREVE BIOGRAFIA SULL’UOMO MATTEI scritta da Giuseppe Accorinti, autore del libro:

“Quando Mattei era l’impresa energetica, io c’ero” [Ed. Hacca-Matelica]  

Enrico Mattei nacque ad Acqualagna il 29 aprile 1906 da famiglia povera; il padre, maresciallo dei carabinieri e la madre, Angela Galvani, avevano 5 figli: Enrico, Rina, Umberto, Maria, Italo. Enrico -oggi sembra incredibile dirlo ma allora era così- aveva poca voglia di studiare e aveva frequentato con una certa fatica ad Acqualagna fino alla quella che allora era la 6^ classe elementare. Poi il padre, che invece voleva che studiasse, lo mandò presso una famiglia amica a Vasto affinchè frequentasse l’Istituto Tecnico Inferiore (la scuola è ora intitolata ad Enrico Mattei); tuttavia il ragazzo, dopo essere stato rimandato ad ottobre in tre materie -geografia, francese e matematica- decise di interrompere gli studi malgrado la resistenza del padre.

Più avanti nella vita, come Presidente ENI, ebbe 5 lauree Honoris causa, di cui 3 in Ingegneria, motivo per il quale l’unico titolo con il quale lui gradiva essere chiamato era appunto quello di ingegnere.

La famiglia, dopo il pensionamento del padre, cercò di trasferirsi a Camerino ma le case costavano troppo, quindi ripiegarono su Matelica dove la mamma, per la quale l’Ing. Mattei ha sempre nutrito una profonda venerazione, per aiutare la famiglia aprì un piccolo negozio di cucito. Enrico fu mandato dal padre sempre a Matelica a verniciare i letti di ferro -un’ antica tecnica matelicese- presso la ditta di Cesare Scuriatti. Dopo un paio d’anni, per guadagnare un po’ di più, fu assunto come fattorino alla conceria Fiore di Matelica e nell’arco di 4 anni diventò Direttore del piccolo laboratorio chimico. Nonostante questi primi successi Matelica gli stava stretta e a23 anni andò a Milano: oggi è una cosa quasi normale ma all’epoca che un ragazzo di soli 23 anni si trasferisse dalla piccola città di provincia nella grande Milano era veramente un segno di grande coraggio.

Cominciò come semplice venditore di prodotti per l’industria conciaria e di vernici per conto della famosa Società Tedesca Max Meyer. Dopo un paio d’anni propose ai tedeschi di non spedirgli più in Italia le piccole confezioni dei prodotti finiti ma si offrì di ricevere grandi quantitativi che poi lui stesso avrebbe trasformato in piccoli imballi -barattoli, fusti e fustini- in una sua piccola azienda che nel frattempo aveva fondato alla periferia di Milano -all’inizio con 2 soli operai- e che chiamò Idustria Chimica Lombarda. Max Meyer ed anche la Lowental, altra industria tedesca per la quale lavorava, accettarono la proposta e l’azienda, nella quale Mattei aveva chiamato a lavorare il fratello Umberto, cominciò a fare fortuna, prosperando per tutti gli anni ’30 e ’40 al punto che poi nella sua vita Enrico non ebbe più problemi economici, per cui, ad esempio, una volta entrato all’ Eni, prendeva solo rimborsi spese e gli stipendi venivano direttamente devoluti in beneficienza a varie Associazioni, in particolare al Convento di clausura delle Suore della Beata Mattia Nazzarei di Matelica.

Della Beata era molto devoto al punto che nel portafoglio dell’Ing. Mattei, che fu rinvenuto dopo la tragica scomparsa nel cielo di Bascapè, furono trovate due immaginette della Beata Mattia con una piccola reliquia. Sempre per le Suore all’inizio degli anni ’50, e tutto a proprie spese, fece eseguire importanti lavori di ristrutturazione dell’antico convento di clausura che risaliva all’anno 1300, predisponendo anche la realizzazione dei bagni che non c’erano; e per sorvegliare personalmente i lavori -pratica che abitualmente l’Ing. Mattei metteva in atto con le stazioni di servizio dell’AGIP- ottenne dal Vescovo di Fabriano e Matelica il permesso di entrare nel convento malgrado la clausura. 

Aggiungo che alle suore della Beata Mattia vanno i diritti d’autore del mio libro arrivato alla III^ edizione.

Torno alla storia di Enrico Mattei. A Milano si incontrò con l’altro matelicese Prof. Marcello Boldrini, insegnante di statistica all’Università Cattolica, il quale lo introdusse in città, lo aiutò a crescere anche come uomo di cultura e soprattutto nel 1943 lo fece entrare nella lotta partigiana nella quale, per qualche mese, dopo l’armistizio dell’8 settembre, aveva militato a Matelica. Nel 1944 fu nominato capo dei partigiani cristiani che, sotto la sua guida, dal numero di 5.000 salirono a 60.000; fu poi arrestato dai fascisti e rinchiuso nel carcere di Como dal quale fuggì creando un corto circuito che fece piombare il carcere nel buio. Nella Resistenza salì di importanza al punto che fece parte della direzione strategica del CLN - Comitato di Liberazione Nazionale - in rappresentanza dei partigiani cristiani e diventò anche tesoriere di tutto il movimento di Liberazione. Sfilò a Milano in I^ fila il 5 maggio 1945 con Parri-Longo-Cadorna- Stucchi Argenton. Nel 1946 fu chiamato dalla D.C. a far parte della consulta per la Costituente in rappresentanza dei partigiani cristiani.

Una prima notazione su Enrico Mattei: dopo la tragica scomparsa del 27 ottobre 1962 nel cielo di Bascapè se ne è parlato molto poco. Il silenzio fu interrotto 10 anni dopo dal bellissimo film del regista Francesco Rosi, “Il Caso Mattei”, che ancora viene programmato su SkY; negli anni successivi ancora una volta su di lui piombò un grande silenzio sulla stampa, alla radio e alla televisione all’esterno dell’ENI dove lavorava la generazione di giovani che lui aveva assunto e che ancora lo ricordava. Ma anche sulla sua storia nella resistenza è calato un grande silenzio al punto che nei che nei 5 volumi sulla resistenza pubblicati in questi ultimi anni in tre di essi non si parla affatto di lui, in uno è nominato una sola volta e nell’altro ci sono solo 70 righe: sembra incredibile ma è proprio così. Nel maggio 1945, dopo la fine della guerra di liberazione nazionale, Mattei fu nominato commissario all’A.G.I.P., la società fondata dal fascismo per la vendita dei carburanti e la ricerca petrolifera, e gli fu dato il mandato di liquidarla.

Una volta entrato negli uffici di Milano, esaminate le carte ed incontrati i dirigenti, in particolare il Direttore Generale Ing. Zammatti che poi restò per anni accanto a lui, si convinse che probabilmente a Caviaga, vicino a Milano, ci fosse il metano, un gas combustibile preziosissimo ma anche totalmente sconosciuto non solo in Italia ma in tutta l’Europa Occidentale; Mattei ne intuì la grande importanza per il nostro Paese e quindi decise di riprendere le ricerche per andare più in profondità nel terreno sperando di trovare il metano. Ma dove poteva trovare i soldi per pagare gli operai? Non poteva certo chiederli a Roma perché lo avevano mandato proprio a liquidare l’A.G.I.P. e allora si rivolse alla Banca Commerciale Italiana, della quale era presidente il famoso banchiere Mattioli che, naturalmente, per lo stesso motivo che per cui Mattei non si era rivolto a Roma, non voleva concedergli il fido che richiedeva.

Ma Mattei era così determinato che alla fine lo convinse a concludere l’operazione. Mattioli però gli chiese che, a garanzia del prestito all’A.G.I.P., cedesse alla banca la sua azienda personale, l’Industria Chimica Lombarda, di cui ho parlato sopra, che Mattei aveva fondato a Milano negli anni ’30. Si racconta che restò un attimo sorpreso e poi accettò, rispondendo con la bellissima frase relativa all’Italia nella quale c’è proprio tutto il Mattei come io stesso l’ho conosciuto:preferisco essere povero in un Paese ricco che essere ricco in un Paese povero”. E perciò attuò quella scelta che poi sulla stampa nazionale ed anche internazionale fu etichettata come la disubbidienza di Mattei al Governo Italiano. Fu il primo in Italia ad avere capito dal 1945 (cioé 65 anni fa) che l’energia a prezzi internazionali fosse indispensabile non solo per la ricostruzione e lo sviluppo del nostro Paese, che usciva povero e distrutto dalla II^ guerra mondiale in cui era stato sconfitto, ma anche per abbattere la disoccupazione Italiana che era allora di ben 2 milioni di lavoratori.

Il metano risultò fondamentale per le nostre imprese che usavano il carbone, il cui prezzo al porto di Genova era di 4/5 volte superiore che ai porti di Amburgo e Londra; e non penso proprio di esagerare quando dico che il metano trovato a Caviaga, poi a Cortemaggiore ed in altre località della Valle Padana, fu essenziale per quel miracolo economico italiano degli anni ‘50 e ‘60. Successivamente Mattei entrò, secondo me suo malgrado, anche in politica perché lo stesso Presidente del Consiglio del Ministri, Alcide de Gasperi, lo convinse a presentarsi alle difficili elezioni del 18 aprile 1948 e fu eletto deputato nella DC di Milano; restò in Parlamento per quasi 5 anni e nel 1953, quando diventò Presidente dell’ ENI, si dimise per la legge sul conflitto di interessi voluta essenzialmente per lui dal Sen. Luigi Sturzo, fondatore del Partito Popolare prima e grande personaggio nel dopoguerra della Democrazia Cristiana poi.

Sturzo, liberale convinto, fu un deciso avversario di Mattei perchè profondamente contrario alla connubio tra Stato ed economia, del quale invece Mattei è stato il protagonista indiscusso. Morì a 56 anni il 27 ottobre 1962 a Bascapè, a meno di 2 minuti dall’Aeroporto di Milano, sul piccolo aereo della Snam, un velocissimo Maurane Saulnier che in Francia era utilizzato per l’addestramento dei piloti da caccia e che quindi era molto comodo per Mattei che si spostava continuamente in giro per il mondo per gli affari dell’ENI. L’aereo lo riportava dalla Sicilia con il pilota Bertuzzi ed il giornalista americano Mac Hale che Mattei aveva imbarcato a Catania perché gli aveva chiesto una intervista per la importante rivista americana Time, della quale era corrispondente a Roma. Il funerale fu grandioso nella Chiesa del Gesù a Roma, alla presenza di tutte le massime autorità della Repubblica Italiana: e un grande funerale si ebbe anche nel Duomo di Matelica prima della sepoltura nel cimitero della città nel quale Enrico Mattei aveva fatto costruire una cappella dove riposavano i suoi genitori.

Naturalmente si aprì un’ indagine tecnica del Ministero della Difesa sulle cause della caduta dell’aereo, che si concluse dopo 4 anni con la decisione che si era trattato di un incidente causato dal tempo cattivo -che pure c’era- malgrado i cadaveri delle povere vittime fossero stati trovati smembrati in tantissimi piccoli pezzi anche sulle cime degli alberi. Dopo la sentenza l’ENI decise di consegnare quanto restava del piccolo aereo alla rottamazione –chissà perché? I resti non avrebbero potuto essere interrati nel campo in cui era caduto l’aereo?- con il che a noi che lavoravamo nelle società Eni, e non solo a noi, e che invece da sempre non avevamo mai creduto –ahimè senza prove- all’incidente, sembrò che tutto fosse finito per sempre e l’accertamento della verità non fosse più possibile. Ma le cose cambiarono 33 anni dopo quando ad un lavoratore ENI, che quella maledetta sera del 27 ottobre del 1962 si era portato via un pezzo di circa 25 cm. dell’aereo e che si era conservato in casa come souvenir, un amico di Pavia consigliò di portarlo al Politecnico di Torino per essere analizzato con la TAC dei materiali che, come la TAC usata in campo medico, ai tempi della indagine non era disponibile.

L’Università accertò che il materiale era collassato per una esplosione e allora il nostro collega lo portò al magistrato di Pavia, il valoroso Procuratore della Repubblica Dott. Vincenzo Calia, al quale tutti noi siamo gratissimi per averlo fatto analizzare presso un’altra Università con analogo risultato. Allora il procuratore dispose la riesumazione –cosa che non era stata fatta nella I^ indagine, chissà perché?- dei tre cadaveri, incluso il corpo dell’americano che era stato seppellito a Roma; e nella tomba dell’Ing. Mattei trovarono 3 gambe a conferma che i soccorritori, avendo trovato i poveri cadaveri in tanti frammenti, li avevano raccolti in federe di cuscino che erano state fatte venire in tutta fretta dalla vicina Metanopoli dove si trovavano gli uffici e le case dei lavoratori ENI fatte costruire da Mattei alla metà degli anni ’50. Ripeto: federe di cuscino per raccogliere i frammenti delle persone e non certo solo lenzuoli per coprire i cadaveri; e sempre nella tomba di Mattei fu trovata la mano con l’anello della madre che Lui portava sempre.

Ma il PM. Calia fece anche altre scoperte:

  • Che all’ENI c’erano due aerei uguali per motivi di sicurezza, dopo che i Francesi d’Algeria della OAS avevano mandato all’Ing. Mattei una lettera di condanna a morte se non avesse cessato di aiutare il fronte di Liberazione Algerino. Dei due aerei per oltre 30 anni nessuno di noi all’ENI aveva mai saputo niente, chissà perché?
  • Che il tempo non era poi così cattivo perché il meteo di quella sera, che non era allegato alla prima indagine, riportava sulla pista di Linate una visibilità sufficiente malgrado la pioggia, tanto che un aereo della Sebena era a bordo pista in partenza per Bruxelles e da Roma era segnalato in arrivo un aereo Alitalia.
  • Che non era vero, come aveva sentenziato la I^ indagine, che ci fosse un solo testimone, il contadino Ronchi, padrone della cascina che era a meno di 100mt. dal campo, sempre di proprietà del contadino, in cui era precipitato quanto restava dell’aereo; ma Calia ha trovato addirittura una trentina di testimoni che furono preziosi per l’indagine.
  • E poi è riuscito a trovare all’aeroporto di Montecarlo, ancora in attività, un Maurane Saulnier analogo a quello dell’ENI e i periti ricostruirono da dove, quando l’aereo era fermo a Catania, era stata introdotta quella modesta carica di tritolo che, all’apertura del carrello, aveva fatto esplodere l’aereo. E la carica di tritolo era modesta proprio perché fosse sufficiente a far esplodere l’aeroplano senza indicare che si fosse trattato di un attentato.  

Nonostante queste scoperte, non essendo riuscito a risalire agli esecutori né ai mandanti pur avendo accertato il sabotaggio, nel 2005 dopo 10 anni di indagine lo stesso P.M. Calia –che ora è Procuratore aggiunto al Tribunale di Genova- propose al GIP la chiusura dell’ indagine. Chiudo questo ricordo con una frase molto bella che l’Ing. Mattei aveva pronunciato in uno dei suoi discorsi e che fu riportata sul ricordino stampato alla sua morte con una foto molto triste; e nella frase c’è tutto il Mattei di cui ho parlato.

  

Operare in silenzio con tenacia nell’interesse del nostro Paese.

Ogni giorno un’ansia nuova ci sospinge

Fare agire assecondare lo sforzo di questo nostro popolo che risorge;

Noi abbiamo fiducia nella Provvidenza

Essa assiste sempre tutti

Ed assiste il nostro Paese

Che fiorisce e si rinnova

 



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