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LA STORIA
Non conosciamo con precisione la data in cui l’antico borgo di Sassocorvaro sorse, adagiato sulla collina che domina la sottostante vallata. Grazie ad un documento riminese del 1061, sappiamo che in quella data, in prossimità del luogo in cui attualmente si trova il paese, era ubicato il Castello di Monte Rotondo, con le sue case padronali ed altre abitazioni, terre e vigne, le chiese di S. Angelo e S. Felicita. Il documento non fa menzione di alcun centro abitato col nome di Sassocorvaro e questo fa supporre che la sua fondazione risalga ad un’epoca posteriore al 1061. Del resto, è questa l’epoca in cui iniziavano a sorgere luoghi fortificati, quindi è ragionevole presumere che anche il Castello di Sassocorvaro non fu fondato molto tempo dopo, in una posizione strategica al punto che avrebbe consentito di tenere sotto controllo tutta la media valle del fiume Foglia.
Con ogni probabilità, il primitivo castello, dotato di una chiesa parrocchiale dedicata a San Giovanni Evangelista, era situato sul poggio più alto di tutta la zona, nella località chiamata ancor oggi San Giovannino. Quando fu fondato Sassocorvaro su un rilievo più in basso, lì scese la popolazione residua. Ben presto il nuovo castello si costruì la sua chiesa parrocchiale, dedicata a San Giovanni Battista. Il centro abitato – dalla sua fondazione al Duecento – doveva essere molto piccolo e non allungato, come è ora, per tutto il crinale, quale poi si sviluppò fino al Seicento. Le poche case dovevano stare tutte ammassate in posizione sopraelevata e circondate da grosse mura. Si fanno ipotesi diverse sull’origine del nome dell’antico borgo. Alcuni ritengono che Sassocorvaro derivi da "sasso nido dei corvi" , dato che un gran numero di questi animali si annida ancora oggi sul colle. Altri sostengono che il toponimo sia tale dal suo presunto fondatore, di nome "Corbarius". Altri ancora ipotizzano che il paese abbia questo nome dal termine latino "corbis", che significa "cesta", per la caratteristica forma della sommità del colle su cui è posto. Sassocorvaro nel XII secolo si trovava compreso nel Comitato di Urbino, con cui ebbe rapporti strettissimi nel periodo comunale.
Tra Guelfi e Ghibellini
Nel Duecento, durante le aspre lotte tra guelfi e ghibellini, il piccolo Castrum Saxi Corbari era retto da una potente famiglia locale, i Berardini, fedeli alla parte guelfa e vicari ecclesiastici. Al contrario, nel capoluogo di Urbino, prevaleva la fazione ghibellina. Quando i Guelfi di Urbino furono costretti all’esilio per opera della fazione avversa, capeggiata da Guido da Montefeltro, si rifugiarono a Sassocorvaro, dove munirono con cura la roccaforte e si difesero a lungo, sostenuti dalla popolazione del luogo e dagli aiuti inviati da Rimini e Città di Castello per volontà di Papa Martino IV. Nel 1282, avendo avuto la meglio i Guelfi, Urbino venne colpita da interdetto papale, mentre Sassocorvaro venne premiato per la sua fedeltà ricevendo varie grazie ed esenzioni da parte di papa Onorio IV . Fu in quest’epoca che il castello venne sottratto alla giurisdizione di Urbino e sottoposto all’Abbazia di Casteldurante, mentre non molto tempo dopo, nel 1300, Papa Bonifacio VIII, ne nominò rettore Paolo da Gualdo.
La Signoria dei Brancaleoni
Nella prima metà del XIV secolo, Sassocorvaro dovette subire lo strapotere dei Brancaleoni. Gli abitanti del castello mal sopportavano il dominio tirannico della famiglia signorile e molti preferirono abbandonare il luogo in cui erano nati per rifugiarsi nella vicina Repubblica di San Marino, la quale, tra il 1320 e il 1343, concesse licenza piena agli abitanti di Sassocorvaro di trasferirsi in quel libero stato. Nel 1347 i soprusi e il malgoverno dei Brancaleoni non erano evidentemente più tollerabili, dato che venti terre, con alla testa Sassocorvaro, si rivolsero al Comune di Perugia per chiedere aiuto contro i dominatori. Sassocorvaro e le altre terre sottomesse ai Brancaleoni ottennero così la protezione di Perugia, finché, nel 1356, il cardinale d’Albornoz riuscì a sottomettere i Brancaleoni alla Santa Sede e tolse loro terre e castelli, tra cui Sassocorvaro, per annetterli alle proprietà ecclesiastiche.
Nel 1394, tuttavia, i Brancaleoni recuperarono le loro terre in cambio della promessa di fedeltà alla Chiesa. Papa Bonifacio IX nominò vicari apostolici i nobili Pierfrancesco, Gentile e Galeotto Brancaleoni, che si divisero i domini. Non molto tempo dopo, ancora una volta, gli abitanti di Sassocorvaro si sollevarono. Pierfrancesco fu allora privato di tutti i suoi averi e fu sostituito dai nipoti Galeotto, Bartolomeo ed Alberico, che promisero di rispettare gli usi e i privilegi goduti dagli abitanti in altri tempi. Ma di lì a poco, Sassocorvaro, posto com’era tra i possedimenti dei Montefeltro e dei Malatesta, avrebbe cominciato a suscitare molteplici interessi di dominio. Nel 1424 Guidantonio da Montefeltro, appoggiato da Papa Martino V, mosse guerra ai Brancaleoni, i quali, affatto disposti a rinunciare ai propri possedimenti, chiesero aiuto ai Malatesta, tradizionali avversari degli urbinati. Grazie all’intervento dei riminesi, Sassocorvaro rimase in possesso dei Brancaleoni ancora per qualche tempo, fino a quando, nel 1430, Guidantonio occupò di nuovo il castello e cacciò definitivamente da questa terra chi per anni ne era stato sgradito tiranno.
I Montefeltro e i Malatesta
La cacciata dei Brancaleoni non riuscì a porre termine alle lotte tra i Montefeltro e i Malatesta di Rimini per il possesso del territorio di Sassocorvaro. Il castello, disputato con tanto accanimento, perché sorgeva in una felice posizione di dominio e controllo sul territorio sottostante, passò più volte dall’uno all’altro dei contendenti. Ogni battaglia era occasione di distruzione e saccheggio del borgo e l’antica rocca fu varie volte parzialmente distrutta e riedificata durante le alterne vicende della contesa. I Montefeltro e i Malatesta si disputavano anche il controllo sui territori vicini a Sassocorvaro, che erano stati un tempo dominio dei Brancaleoni. Così, quando nel 1442 il Castello di Montelocco rifiutò di assoggettarsi ai Montefeltro e chiese l’intervento dei riminesi, venne assalito dagli urbinati. Fu il primo scontro frontale tra due personaggi che sarebbero diventati acerrimi nemici: Federico da Montefeltro - non ancora succeduto al padre, ma già abile combattente nell’esercito feltresco - e Sigismondo Pandolfo Malatesta. Le perdite furono gravi da entrambe le parti, ma a farne le spese maggiori fu il Castello di Montelocco, che fu totalmente distrutto.
A distanza di soli quattro anni, la stessa sorte toccò anche a Sassocorvaro, ancora per opera dei Malatesta, le milizie dei quali, il 26 agosto del 1446, assalirono Sassocorvaro, saccheggiando il borgo per poi darlo alle fiamme insieme alla rocca, quasi completamente distrutta. Nel frattempo, alla guida del Ducato di Urbino - dopo che, nel 1444, Oddantonio, succeduto al padre Guidantonio e fregiato per primo del titolo di duca, era stato assassinato - era subentrato Federico. Nel 1447, anche a lui Papa Niccolò V rinnovò la concessione di Sassocorvaro, di cui era già stato nominato vicario apostolico Oddantonio nel 1443. L’investitura da parte del pontefice diede a Federico una ragione in più per tentare di riconquistare il castello. Nel 1456 formò una Lega col re di Napoli, lo Sforza di Pesaro e Papa Giulio II, per cacciare i Malatesta da tutto il Montefeltro. Sigismondo, intanto, fortificava i suoi castelli e in particolare la rocca di Sassocorvaro che, dopo averla lui stesso incendiata, dovette ricostruire quasi dalle fondamenta.
Nel 1458 Federico investì Sassocorvaro con un violentissimo bombardamento delle sue artiglierie, ponendovi l’assedio e dirigendo personalmente l’azione guerresca. Gli abitanti resistettero ostinatamente, ma dovettero infine arrendersi, quando il castello fu messo di nuovo a ferro e fuoco e le truppe ebbero dal duca il permesso di fare il più largo bottino. Federico riuscì ad impadronirsi del castello, ma non restava di esso che un cumulo di macerie e, volendo installarvi un suo presidio, il duca fu costretto a predisporre dei ripari di vimini e altri materiali di fortuna. Sebbene lo avesse sconfitto, Federico non era riuscito a domare definitivamente l’avversario, tanto che, solo pochi mesi dopo l’eccidio, tra il 1458 e il 1459, Sigismondo Malatesta riconquistò Sassocorvaro e, con l’aiuto degli abitanti del luogo, iniziò i lavori per ricostruire la fortezza. Di lì a poco, però, Papa Pio II investì nuovamente Federico del dominio su Sassocorvaro e, contemporaneamente, scomunicò Sigismondo a causa della sua politica spregiudicata. Nel 1463 la battaglia che si svolse presso il fiume Cesano pose definitivamente fine alle lotte per il predominio su Sassocorvaro. In quell’occasione, infatti, Federico da Montefeltro sconfisse una volta per tutte Sigismondo Pandolfo Malatesta e si impadronì del castello, che nel 1464 il papa gli riconobbe in feudo.
Il Conte Ottaviano degli Ubaldini
Intorno al 1470 Federico decise di donare il territorio di Sassocorvaro, oltre che quello di Mercatello, ad Ottaviano Ubaldini, che fin dal 1447 aveva chiamato presso di sé ad Urbino, perché fosse suo fraterno consigliere. Il 23 agosto del 1474, Sisto IV, con bolla papale, investì Ottaviano del titolo di conte e gli riconobbe ufficialmente, dietro il pagamento di un censo annuo pari a una tazza d’argento, la signoria sul feudo di Sassocorvaro. Ottaviano era nato, probabilmente nel 1423, a Gubbio, da Aura, figlia naturale del Conte Guidantonio da Montefeltro e da Bernardino della Carda, capitano del conte. Ottaviano sarebbe dunque stato nipote di Federico da Montefeltro, ma qualcuno sostiene che lo stesso Federico non fosse figlio di Guidantonio, bensì degli stessi genitori di Ottaviano e dunque, accettando quest’ultima ipotesi, bisognerebbe ritenere che i due fossero fratelli. Di certo Ottaviano e Federico vissero due esistenze parallelee furono sempre molto legati, tanto da essere ritratti uno di fronte all’altro, con le stesse proporzioni, in una lunetta marmorea realizzata da Francesco di Giorgio Martini. Ottaviano, prima di essere investito del possesso della Contea di Sassocorvaro, era stato il braccio destro del duca e il reggitore dello stato in assenza di Federico. A quell’epoca, Federico e Ottaviano formavano di fatto una diarchia, come riconobbe Leon Battista Alberti, che li definì "i due principi dell’Umbria".
Quando intraprese i lavori di costruzione della nuova Rocca di Sassocorvaro, l’Ubaldini - che era stato l’anima della corte ad Urbino, circondandosi, dotato com’era di una spiccata sensibilità umanistica, di artisti di ogni parte d’Europa – si servì delle esperienze culturali accumulate nelle corti italiane, nelle quali era vissuto da ragazzo, e nella vivacissima corte urbinate. Furono chiamati gli architetti più eccellenti e Ottaviano si avvalse, per il disegno dell’opera, dell’insigne senese Francesco di Giorgio Martini, che in quegli anni lavorava al Palazzo Ducale ed aveva ricevuto da Federico l’incarico di edificare o ristrutturare un complesso di circa centoventi fortezze in tutto il territorio feltresco. La ragione per cui, nel corso dei secoli, la figura di Ottaviano è rimasta nell’ombra, va ricercata nel fatto che, dopo la morte di Federico, al conte, uomo ricco di interessi in campo astrologico ed alchimistico oltre che letterario, fu ingiustamente attribuita la responsabilità per le sterili nozze tra Elisabetta Gonzaga e Guidubaldo da Montefeltro, del quale il padre Federico aveva lasciato al fido Ottaviano la tutela. Nel 1498, quando lo stesso Ottaviano morì a Gubbio senza figli, Sassocorvaro tornò al Ducato di Urbino. Nel 1502, con l’invasione del territorio urbinate da parte delle truppe di Cesare Borgia, la fortezza di Sassocorvaro fu fatta munire dal nuovo signore con ogni cura, ma, sfumata in breve tempo la potenza dei Borgia per la morte di Papa Alessandro VI, il Duca Guidubaldo ritornò in possesso di tutti i suoi possedimenti e Sassocorvaro fu assegnato nel 1504 a Gianandrea de’ Bravis di Verona, in segno di riconoscimento della fedeltà dimostrata verso la famiglia dei Montefeltro.
I Doria di Genova
La signoria di Gianandrea de’ Bravis non durò a lungo. Una volta estintasi questa famiglia, Guidantonio, memore dei grandi servizi resi alla sua famiglia dal celebre genovese Andrea Doria, gli diede in feudo il Castello di Sassocorvaro. Andrea Doria era diventato amico di Giovanni della Rovere, prefetto di Roma, entrando nella milizia pontificia. Sembra che Andrea, spostatosi alla corte di Guidubaldo da Montefeltro, si fosse innamorato di Giovanna, moglie di Giovanni della Rovere. Avendo, nel 1502, salvato la donna dalla cattura da parte del Valentino, in seguito, il nuovo duca di Urbino, Francesco Maria I della Rovere- succeduto nel 1508 a Guidubaldo da Montefeltro, morto senza lasciare eredi - non avrebbe potuto non essere grato ad Andrea Doria, il quale richiese l’investitura della piccola Contea di Sassocorvaro a un ramo collaterale della famiglia nella persona di Filippino Doria, il suo braccio destro. Il tutto avvenne col consenso del papa Giulio II, espresso attraverso la bolla del 18 maggio 1510.
I Conti Doria risiedevano a Genova e visitavano di tanto in tanto il loro feudo di Sassocorvaro. Per più di un secolo durò la presenza della famiglia genovese in Sassocorvaro e questo governo viene ricordato come un periodo giusto e sereno per la popolazione. Nel 1522 Francesco Maria, revocò a Filippino l’investitura, accusandolo di infedeltà, ma già nel 1535 Sassocorvaro tornò ai Doria nella persona di Filippino II, grazie alla concessione di Guidubaldo II della Rovere. Alla morte del conte, Sassocorvaro restò in mano del figlio Giovan Tommaso, ancora minorenne, di cui era tutrice la madre Peretta Doria. Il vecchio duca urbinate Francesco Maria II della Rovere, al pari di Giantommaso Doria, era destinato a morire senza eredi maschi e se nel 1626 la Santa Sede si annetterà la Contea di Sassocorvaro, nel 1631 si approprierà di tutto il Ducato di Urbino.
La Santa Sede
Con il passaggio del ducato alla Santa Sede, l’amministrazione di Sassocorvaro fu affidata al governatore dello Stato di Urbino, Monsignor Berlingerio Gessi. Da quel momento in poi, per evitare che la Rocca Ubaldinesca, il monumento più importante del paese, andasse sempre più deteriorandosi, i vari pontefici la concessero in enfiteusi a diverse famiglie o personaggi legati alla Santa Sede, fino alla dichiarazione dell’unità nazionale, quando il territorio e la rocca vennero in possesso dello Stato italiano.
LA STORIA RECENTE
1940-1945: in un angolo di terra del Montefeltro, compreso tra Urbino, Sassocorvaro e Carpegna, per scongiurare i pericoli della guerra, si concentrano quadri e opere d’arte di numerosi musei d’Italia. E’ necessario un ricovero sicuro per proteggere il prezioso tesor la scelta cade sulla Rocca di Sassocorvaro. Tutta l’operazione salvataggio è affidata a Pasquale Rotondi, giovane soprintendente di Urbino. Dal 6 giugno 1940 la Rocca accoglie i grandi capolavori provenienti dalle Marche; dal 16 ottobre 1940 arrivano i tesori dei musei di Venezia, delle Gallerie e della Ca’ d’Oro. Qui saranno custoditi fino alla fine della guerra, per 5 anni, 3 mesi e 8 giorni. Poco tempo prima dell'entrata in guerra dell'Italia, il Governo attua un piano di emergenza per difendere da attacchi aerei l'immenso patrimonio artistico nazionale. Con l'impiego di risorse ingenti, sono realizzati importanti lavori di difesa e il 10 giugno 1940, giorno dell'entrata in guerra, la maggior parte dei monumenti, come chiese e palazzi, è praticamente invulnerabile. Per la salvaguardia delle opere d'arte mobili, si pensa di portarle in un luogo sicuro, lontano da obiettivi militari.
Per le Marche, l’operazione salvataggio è affidata a Pasquale Rotondi; dovrà portare in salvo i famosi dipinti di Piero della Francesca e Paolo Uccello, Raffaello e Tiziano, per citarne solo alcuni. Con l'inizio della guerra, questa impresa risulta alquanto più ardua del previsto. Per proteggere un gran numero di opere di importanza straordinaria, Rotondi vuole una struttura di assoluta sicurezza, come sottolinea nel suo memoriale: "Indispensabile doveva essere la lontananza della località da centri industriali o ferroviari o militari … la solidità delle strutture in modo da dare una sufficiente garanzia nella eventualità di attacchi aerei...". Sono ispezionati numerosi edifici; a tutti i requisiti desiderati "si dimostrarono perfettamente rispondenti la Rocca quattrocentesca di Sassocorvaro e il Palazzo dei Principi di Carpegna".
La Rocca Ubaldinesca rifugio d'arte
"il ricovero più sicuro per la naturale inespugnabilità del luogo e per la poderosa imponenza delle murature gigantesche". Non solo, gli ambienti ampi e asciutti avrebbero preservato le opere d'arte da qualsiasi danno durante la loro permanenza nel rifugio.
6 giugno 1940
Arrivano a Sassocorvaro i primi camion, per portare nel rifugio della Rocca le opere d’arte, capolavori straordinari, provenienti dai più importanti musei delle Marche: da Urbino, la Flagellazione e la Madonna di Senigallia di Piero della Francesca, la predella del Corpus Domini di Paolo Uccello; da Ancona, le due tele del Tiziano e quelle del Crivelli; da Jesi, le opere del Lotto e da Fermo il Rubens. Viene inoltre trasportata nel ricovero tutta la collezione di ceramiche di Pesaro, forse la raccolta più ampia e completa che ci sia in Italia, e molti oggetti medioevali prelevati dalle chiese delle Marche.
16 ottobre 1940
I grandi capolavori dei musei di Venezia, delle Gallerie, della Cà d'Oro e del Museo Orientale trovano rifugio nella Rocca di Sassocorvaro, che da quel momento è una straordinaria concentrazione di capolavori. Ci sono tre opere del Giorgione (tra cui la Tempesta), ben ventitré di Giovanni Bellini, dodici del Tiziano, tutte le Storie di S. Orsola del Carpaccio, due del Mantegna, quindici del Tintoretto, quadri del Tiepolo, di Memling, tutto il medagliere e tutta la raccolta di bronzetti della Ca' d'Oro. Un patrimonio veramente ingente, "il raggruppamento di opere d'arte più importante mai realizzato al mondo", come ricorda Rotondi; "qui c'erano 6509 pezzi, di grandissima importanza artistica, archeologica, bibliografica: 1327 venivano da Venezia, 5180 venivano dagli istituti delle Marche, 2 venivano dall'isola di Lagosta (Istria) … . Un buon numero erano di importanza più che primaria, cioè altissima, universale".
La Rocca-Arca, che ha saputo custodire così a lungo e così gelosamente tesori d’arte di tanta grandezza, torna ad accogliere idealmente i “suoi capolavori” per diventare un punto di riferimento nel panorama culturale italiano. Il museo Arca dell’Arte occupa gli spazi del piano nobile della Rocca........
IL CENTRO STORICO
Nel centro storico del paese, passeggiando tra strette vie e piccole piazze si possono ammirare, oltre ad alcuni lacerti delle antiche mura cittadine e alle porte d’accesso al borgo, diverse testimonianze storico-architettoniche, tra cui l’Oratorio di S. Rocco, elegante costruzione eretta nei primi anni del XVI secolo, dalla famiglia dei conti Doria, in ringraziamento per esser scampati al pericolo di un’epidemia di peste. Al suo interno tre altari, sui quali si possono ammirare tele del XVI e XVII secolo ornate da pregevoli cornici in stucco, tra queste un’opera ascrivibile al baroccesco Giovan Battista Urbinelli raffigurante la Vergine col Bambino tra i Santi Sebastiano e Rocco. L’attuale Torre dell’orologio che anticamente fungeva da campanile alla duecentesca chiesa di S. Francesco, purtroppo abbattuta nei primi decenni del XX secolo a seguito dei danni riportati durante un terremoto. Il piccolo ed elegante Palazzo Battelli, fatto edificare nella prima metà del ‘700 da Monsignor Giovan Cristoforo Battelli - Arcivescovo d’Amasia e cameriere segreto di Papa Clemente XI Alban-, che conserva la graziosa facciata ed all’interno alcuni elementi decorativi.
La chiesa Collegiata di S. Giovanni Battista, menzionata per la prima volta nel Codice Pandolfesco, in cui si ricorda che, il 18 maggio 1296, Malatesta da Verucchio si incontrò con Taddeo di Montefeltro nella chiesa situata nel castello di Sassocorvaro, per richiamarlo ai patti già da loro stipulati. Diventata Pieve, per interessamento del conte Ottaviano degli Ubaldini della Carda, passò al titolo di Collegiata il 27 luglio 1756 con una bolla di Papa Benedetto XIV Lambertini. Al suo interno è possibile ammirare, oltre a tele del XVII secolo, realizzate dalla bottega di Federico Barocci, parte degli elementi decorativi che ornavano il Ciborio Doria, eseguito tra XVI e XVII secolo ed una tela, raffigurante La SS. Trinità, la Beata Vergine e Santi del romano Michele Rocca (1666- post 1751), quest’ultima proveniente dall’Oratorio della SS. Trinità. L’Oratorio della SS. Trinità, custodisce dal XVIII secolo le reliquie di S. Valentino patrono degli innamorati, è diventato negli ultimi anni luogo di pellegrinaggio per i numerosi innamorati che decidono di giurarsi amore eterno.
SAN VALENTINO
L’Ortatorio della SS.ma Trinità fu fondato nel 1722 dall’Abate sassocorvarese Gaspare Fabbrini, personaggio eminente nella Roma pontificia del primo ‘700. Il piccolo Oratorio si arricchì ben presto di numerose reliquie, tra queste ne figura una di San Valentino protettore degli innamorati. La storia della reliquia di San Valentino, conservata a Sassocorvaro, ci viene in parte raccontata dall’autentica rilasciata il 27 ottobre 1747 dal Vescovo di Urbania Eustachio Carotti; il Carotti fu chiamato ad autenticare la reliquia dall’Abate Fabbrini che gliela presentò corredata da un documento di autenticità che ne attestava la provenienza dal cimitero romano di San Calepodio. Ogni anno, il 14 febbraio, Sassocorvaro ricorda il Santo degli innamorati attraverso la tradizionale benedizione delle coppie che si tiene presso il piccolissimo Oratorio, un’ambientazione suggestiva dove gli innamorati rinnovano le promesse d’amore davanti al corpo del Martire.
DA VEDERE NEL TERRITORIO COMUNALE........
Nel territorio comunale, partendo dalla frazione di Mercatale ove lo sbarramento artificiale del fiume Foglia ha dato luogo alla creazione di un suggestivo specchio lacustre -meta nei mesi estivi di appassionati di canoa e windsurf-, degni di nota sono il Casino Doria, detto anche Casino della Madonna del giardino, superbo esempio di villa fatta edificare tra il XVI ed il XVII secolo dall’omonima famiglia genovese; la Chiesa di San Michele Arcangelo, eretta sul finire dl ‘500 sotto il patronato dei Cavalieri di Malta -dato che Mercatale era un luogo di passaggio per molti pellegrini-; conserva al suo interno, profondamente mutato da restauri ottocenteschi, pregevoli dipinti tra cui una Madonna del Rosario e Santi datata 1621 ascrivibile al baroccesco Giovan Battista Urbinelli.
Il borgo di San Donato in Taviglione, l’antico Castrum Montis Tabellionum, probabilmente in origine sede di un tabellio, termine col quale nell’alto medioevo si indicavano i notai dell’Esarcato di Ravenna. Il primo insediamento relativo a San Donato sorse attorno alla metà del VIII secolo, in epoca longobarda, quando il martire Donato, Vescovo di Arezzo –morto nel 362- era particolarmente venerato dalle popolazioni del Montefeltro. La struttura superstite del castello -probabilmente eretto attorno all’anno mille- allo stato attuale è circoscritta ad un terrapieno contenuto da mura, sulla cui sommità si può ammirare un panorama mozzafiato dalla vallata circostante.
Presso la frazione di Caprazzino è possibile visitare l’antica Chiesa di Sant’Andrea in Strada –della quale si hanno notizie fin dal XIII secolo- all’interno della quale si possono ammirare, tra le varie opere d’arte, una rara tela del baroccesco Basilio Maggeri, datata 1642, raffigurante Santa Lucia, Sant’ Orsola, Sant’ Andrea e Santa Barbara ed un pregevole affresco del XVI secolo rappresentante il Cristo Crocifisso tra la Vergine e Sant’Andrea, attribuibile ai fratelli Nardini di Sant’Angelo in Vado. Sul colle che domina Caprazzino sorge invece il medioevale Borgo di Piagnano, baluardo della famiglia dei conti Oliva di Piagnano-Piandimeleto, che conserva ancora intatte parte delle poderose mura e l’imponente porta d’accesso al castello. Il borgo di Valle Avellana che ancora possiede, sebbene frammentaria, parte della cinta muraria edificata tra XIV e XVI secolo e la bella porta d’accesso al borgo caratterizzata da un arco gotico.
EVENTI
Premio Rotondi
Il Premio Rotondi ai salvatori dell’arte, intitolato allo scomparso Soprintendente Pasquale Rotondi protagonista del salvataggio di opere d’arte, intende segnalare le figure che si sono contraddistinte nell’arte di salvare l’arte. Una giuria selezionata assegna annualmente il Premio Rotondi organizzato su quattro livelli:
Durante la Seconda Guerra Mondiale, la Rocca Ubaldinesca di Sassocorvaro è stata protagonista di un episodio estremamente importante per l’arte italiana. Prima ancora dell’inizio delle ostilità fu deciso di istituire a Sassocorvaro un centro di raccolta delle principali opere d’arte del territorio nazionale al fine di salvaguardare dai pericoli della guerra il patrimonio artistico italiano. La Rocca fu scelta tra numerose altre costruzioni dall’allora Soprintendente Pasquale Rotondi, perché ritenuta il “ricovero più sicuro per la naturale inespugnabilità del luogo e per la poderosa imponenza delle murature gigantesche”. Il 6 giugno 1940, appena quattro giorni prima dell’entrata in guerra dell’Italia, da varie Soprintendenze delle Marche e d’Italia arrivarono le prime opere d’arte. Per 5 anni, 3 mesi e 8 giorni la Rocca fu nascondiglio di capolavori di importanza universale come:
Tutte le opere custodite da Rotondi, circa 10.000, tornarono alla fine del conflitto illese alle loro sedi. Questa importante opera di prevenzione, nata nell’intento di proteggere il patrimonio artistico nazionale dai pericoli delle bombe e delle devastazioni belliche, si rivelò particolarmente utile dopo l’8 settembre quando ci si dovette difendere dalle ruberie e dalle devastazioni dei tedeschi. Il Premio Rotondi ai salvatori dell’arte, intitolato allo scomparso Soprintendente Pasquale Rotondi protagonista del salvataggio di opere d’arte, intende segnalare le figure che si sono contraddistinte nell’arte di salvare l’arte.
Una giuria selezionata, costituita dai Soprintendenti delle città da cui provenivano i capolavori salvati nella Rocca di Sassocorvaro e da uomini di cultura, tra cui Tonino Guerra, presieduta da Giovanna Rotondi Terminiello, fino al ’96 Soprintendente ai Beni artistici e storici della Liguria, e coordinata da Salvatore Giannella, ideatore del progetto Arca dell’Arte, assegna annualmente il Premio Rotondi organizzato su quattro livelli: regionale, nazionale, europeo e mondiale. Nella cerimonia di consegna del Premio, che si svolge nel mese di giugno, viene offerta ai vincitori una scultura ideata e realizzata appositamente per l’evento. Uteriore prestigio al Premio viene dal decreto del Presidente della Repubblica del 4 Novembre 2005, con il quale è stata conferita la medaglia d’oro al merito civile alla memoria del Professor Pasquale Rotondi per la sua attività di salvataggio di opere d’arte.
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