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Montappone

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LA STORIA

Montappone si erge su un erto colle dell'Alto Piceno a 370 mt. s.l.m., sulle cui pendici, lungo un ampio borgo, si dispiega l'agglomerato urbano del paese, oggi rinomato centro mondiale della produzione di cappelli. Le prime notizie certe con il nome Montappone risalgono all'anno mille. Fin dall'antichità fu dominato dalla potentissima famiglia dei Nobili-Brunforte. Agli inizi del XIV sec., il castello di Montappone fu distrutto da Gentile da Mogliano e ricostruito dai montapponesi nel 1371 con l'aiuto degli abitanti dei villaggi di Podiolo e Montapponello. D'ora innanzi la storia di Montappone resta legata alle alterne vicende di Fermo. Nel 1808, con l'avvento del Regno D'Italia, si unirono al Municipio di Montappone quelli di Massa e Monte Vidon Corrado. Quando venne ripristinato il dominio pontificio, Montappone fu sede del governatore del distretto, trasferito prima a Falerone, poi a Montegiorgio. Nel 1827 ebbe un Podestà con giurisdizione anche su Massa Fermana.

Dalle radici della cultura contadina ha origine la tradizione di intrecciare la paglia; memoria storica e culturale di questa antica arte è il Museo del Cappello di Montappone che custodisce materiali e manufatti d'epoca e conserva orgogliosamente anche l'ultimo cappello indossato da Federico Fellini. In piazza Roma, nella Chiesa Parrocchiale di S. Maria e S. Giorgio sono conservate la tela "Madonna con Bambino a Santi" del Pomarancio (1552-1626) e una Croce Reliquiario del XV sec. Nel centro storico emerge l'Oratorio del Sacramento con affreschi attribuiti a Vincenzo Pagani. Addossata alle mura fortificate con l'imponente torre campanaria svetta la grande Chiesa di S. Maria in Castello del XVIII sec. 

 

LA LAVORAZIONE DELLA PAGLIA – ANTICA TRADIZIONE

Il grano seminato a Novembre veniva mietuto con la falce messoria già alla fine di Giugno, poco prima della perfetta maturazione per ottenere un imbiancamento naturale. I covoni portati sull'aia, con il carro, venivano appoggiati ad una scala di legno, posta orizzontalmente. Uomini, donne e ragazzi sfilavano manipoli di spighe mettendole tutte alla stessa altezza, un uomo li raccoglieva in un manipolo più grosso e con una falce tagliava via le spighe. I nodi dei culmi messi ad uno ad uno alla stessa altezza, con le forbici della potatura, venivano tagliati via sotto e sopra ed in ultimo si sfilavano le guaine fogliari. Le paglie erano graduate secondo il calibro al fine di avere una treccia omogenea. Questa operazione si effettuava manualmente valutando ad occhio ma riusciva perfetta soltanto con l'uso della macchina "vagliatrice". I fili di paglia eguagliati venivano legati in mazzetti che aperti a ventaglio si lasciavano, verticalmente nell'aia, esposti all'azione del sole e delle rugiade per un imbiancamento naturale.

Se l'operatore riteneva l'imbiancamento non perfetto ricorreva all'accensione di zolfo che poneva in casse di legno già piene di mazze di paglie per un'intera notte. Le paglie prima di essere intrecciate venivano bagnate affinché durante la lavorazione non si spezzassero. Le trecce più comuni erano quelle di quattro fili di paglia, di sette e di tredici. Una volta realizzata, la treccia veniva ripulita dagli spuntoni delle rimesse con un coltello o con le forbici. Per rendere la treccia più malleabile alla cucitura (soprattutto a macchina) si passava attraverso due rulli di legno o di ferro (torchietto). La treccia veniva venduta a matasse (pezze) ottenute dall'avvolgimento di essa su uno strumento di misura chiamato "passetto". Il cappello tradizionale detto "della mietitura" veniva cucito a mano con un ago grosso e il refe; orlo contro orlo prendendo una maglia all'interno e una all'esterno. Grazie all'abilità della cucitrice i punti del refe risultavano invisibili scomparendo tra le maglie della treccia. In epoche più recenti la cucitura si effettuava con una macchina da cucire a pedali, poi successivamente motorizzata.

Si dava corretta forma e lucidatura, infilando il cappello in una forma di legno e lisciandolo, facendo pressione, con un mazzuolo di legno duro; inoltre si usava anche un ferro da stiro scaldato sulla brace. Successivamente questa fase si è evoluta con l'utilizzo di una serie di presse di legno e di ferro. Il cappellaio ambulante di Montappone trasportava ed esponeva i cappelli su una stanga: una "pertica" di salice messa a bilancia su di un pungolo che veniva infisso nel terreno nei momenti di vendita o di pausa.

 

Da Vincenzo Vitali Brancadoro, anno 1860 in
"NOTIZIE STORICHE E STATISTICHE DI MONTAPPONE NELLA PROVINCIA DI FERMO"

Il frumento che si destina alla produzione delle paglie, non è diverso da quello che serve al panificio, ma si scelgono quelle prodotte dal "Triticum aestivum" (varietà del genere barbuto), volgarmente detto grano marzuolo e calvigia; e dal calvigiotto e mazzocchetta per i lavori più ordinari. Nel novecento oltre la calvigia si piantavano carusella, frasineto, jervicella e torrenuova (quest'ultima varietà di grano non si allettava: non si piegava a terra).

Ricerca a cura di Mario Ercoli - Responsabile del Museo della Cappello www.ilcappellodipaglia.it

 

 

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