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Padre Matteo Ricci (1552-1610) Missionario Gesuita

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Padre Matteo Ricci (1552-1610), missionario gesuita, fu il primo europeo che riuscì ad aprire le porte della Cina a una nuova e profonda attenzione verso i popoli “barbari” e specialmente verso l’Europa.

Il successo di questa missione, invano tentata anche dai suoi confratelli a partire da Francesco Saverio, fu dovuto alle sue straordinarie doti intellettuali e morali, che lo portarono a farsi in tutto cinese: parlò e scrisse la lingua cinese, adottò i costumi della Cina, fu chiamato dall’imperatore Wanli a Pechino quale ambasciatore d’Europa, offrì contributi scientifici e tecnici allora sconosciuti in quel lontano Oriente, fu mantenuto a spese dello Stato e ottenne, alla sua morte, primo straniero nella storia della Cina, un terreno per la sepoltura.

La sua tomba è ancora oggi onorata a Pechino. Quali erano stati, agli occhi dei cinesi, i meriti del “Maestro del Grande Occidente”? Anzitutto Ricci aveva scelto di diventare un cinese, parlando e scrivendo la lingua di quel Paese come nessun europeo aveva mai fatto e assimilandone abitudini e costumi in leale spirito di amicizia. In secondo luogo, studiando a memoria “i loro libri”, ossia le opere di Confucio e di altri filosofi classici e, traducendole anche in latino, era giunto a conoscere in modo eccellente la cultura di “questo altro mondo”.

In terzo luogo, trasferendo ai cinesi i principali documenti della civiltà europea (teologica, filosofica e, soprattutto, scientifica), aveva aperto alla Cina il patrimonio delle conoscenze occidentali più avanzate del tempo. Come scrisse un letterato cinese alla sua morte, “il dottor Li (Ricci) ha aperto gli occhi della Cina sul mondo”: preparando cinque diverse edizioni di carte geografiche universali, con le nuove misurazioni dei meridiani e paralleli della Cina, scoprendo definitivamente che il Catai di Marco Polo coincideva con la Cina e che Cambalù era Pechino, costruendo strumenti scientifici e insegnando il loro uso (astrolabi, sfere terrestri e celesti, orologi solari e meccanici,strumenti per gli osservatori di Nanchino e Pechino), introducendo e traducendo la Geometria di Euclide (che ancor oggi gli studenti cinesi leggono nella traduzione di Ricci e del suo amico Xu Guangqi) e altre opere scientifiche e tecnologiche, oltre che filosofiche e teologiche, e infine apprestandosi a riformare il calendario cinese.

All’Europa Ricci aveva resa attenta e disponibile la Cina, sulla base del riconoscimento della pari dignità di tutti gli uomini (significativa la difesa dei diritti di Indiani e Cinesi) e dell’apprezzamento sincero e convinto della straordinaria civiltà del Paese di Mezzo. Con le sue Lettere, ufficiali e private, ma soprattutto con la storia della sua “impresa della Cina” (Della entrata della Compagnia di Giesù e Christianità nella Cina), aveva offerto all’Europa il primo strumento di conoscenza ampia e sicura del Paese del Drago.

Purtroppo, l’infelice soluzione della questione dei riti - scoppiata dopo la morte di Ricci e conclusasi con la condanna di quest’ultimo da parte dell’Inquisizione romana nel 1704 -, e l’appropriazione della sua opera storica da parte del confratello Nicolas Trigault - che la tradusse in latino e pubblicò a proprio nome in Europa con grande successo - esclusero per secoli all’opera e al nome di Ricci il giusto riconoscimento. Solo nel 1939 Pio XII ne riabilitò ufficialmente il metodo missionario, additato da Giovanni Paolo II in diverse occasioni, quale esempio per la presente e futura evangelizzazione.

Nell’anno 2000 la rivista americana Life lo ha posto tra i cento uomini più importanti del secondo millennio; nello stesso anno la Cina lo ha ricordato, insieme ad altri grandi suoi figli, nell’ “altare del millennio” posto dinanzi alla nuova stazione centrale di Pechino.  

Biografia  

 1552: Matteo Ricci nasce a Macerata il 6 ottobre da antica famiglia risalente al secolo XIII. Il padre, Giovanni Battista, esercita la professione di «speziale» ed è impegnato anche in ruoli amministrativi della città di Macerata. La madre, Giovanna Angiolelli, è dedita alle cure della famiglia. Matteo fu il primogenito, verosimilmente, di otto fratelli e quattro sorelle. Comincia ben presto gli studi in casa, dapprima sotto la guida del sacerdote Nicolò Bencivegni, poi con altri precettori, dopo che il Bencivegni è entrato nell’ordine dei gesuiti.  

1556: Morte di S. Ignazio.  

1561: Con la venuta di 13 padri, si apre il Collegio dei Gesuiti a Macerata, voluto dallo stesso            S. Ignazio, che il 29 gennaio 1556 aveva ordinato che vi fossero mandati i migliori predicatori «per esser città della sorte che è». Dapprima i Gesuiti si erano sistemati presso la Chiesa di S. Maria delle Vergini, fuori dalle mura e ancora in costruzione; poi, dopo quattro anni, si trasferirono dentro la città negli edifici che diventeranno in seguito il loro Collegio e la Chiesa di S. Giovanni. I Gesuiti restarono nel Collegio di Macerata, ora adibito a Biblioteca Comunale, fino alla soppressione dell’ordine nel 1773. Matteo, all’età di nove anni, inizia a frequentare la scuola dei Gesuiti, nella quale, intorno ai 14 anni, termina gli studi umanistici. Ben presto gli alunni, appartenenti alle famiglie più ragguardevoli della città, raggiunsero il numero di 140. Nel collegio dimorarono il beato Rodolfo Acquaviva, Alessandro Valignano, s. Roberto Bellarmino. Macerata era una città di circa 12.000 abitanti, nello Stato della Chiesa; nel 1540 Paolo III vi aveva ufficialmente istituita, trasformando uno studium di diritto esistente sin dal 1290, una Università, a cui concesse i medesimi privilegi di Bologna e Padova.  

1568: All’età di 16 anni, Matteo viene inviato dal padre alla Sapienza di Roma per studiarvi giurisprudenza. Sia lo stato di precarietà, specie per ragioni economiche, dell’Università maceratese in quegli anni, sia, soprattutto, le ambizioni di Giovanni Battista per il futuro del figlio lo inducono a inviarlo a Roma.  

1568-1571: Non ci sono notizie dirette negli anni in cui frequenta la facoltà di diritto.  

1571: Il 15 agosto Matteo chiede di essere ammesso al Noviziato della Compagnia dei Gesuiti, presso la chiesa di S. Andrea al Quirinale. Viene ricevuto dal vicemaestro dei novizi Alessandro Valignano, che sostituisce il maestro P. Fabio De’ Fabi, malato, e lo stesso giorno sottoscrisse il primo documento che ci resti di lui. Promette «con la divina grazia di osservare tutte le costituzioni e regole, e modo di vivere della Compagnia, ed essere indifferente e rassegnato per essere ammesso a quel grado e officio che la Compagnia giudicherà, e di fare quanto dalla obbedienza gli sarà ordinato» (Tratto dal verbale dell’esame di ammissione di M. Ricci alla Compagnia di Gesù). Il padre, appresa la notizia che Matteo si è fatto religioso, si mette in viaggio per Roma, deciso a impedirgli la risoluzione. Giunto appena a Tolentino, a diciotto chilometri da Macerata, viene assalito da una strana violentissima febbre che egli interpreta come segno della volontà divina di non opporsi alla vocazione del figlio.  

1572: Nel mese di gennaio Matteo viene mandato alla casa Professa, presso il «Gesù», per esercitarvi umili servizi di casa. Il 25 maggio emette la professione religiosa. Viene quindi mandato in un collegio della Toscana, forse a Firenze. Nelle Lettere cita diverse volte Firenze come termine di paragone rispetto ad alcune città cinesi (es.: Nanchang). Agli inizi di settembre viene trasferito al Collegio romano, ma già ai primi di ottobre viene inviato a Firenze a perfezionare la sua conoscenza di lettere classiche con il padre Martino De Fornari. Torna a Roma, al Collegio Romano, per l’anno scolastico 1573-74, dove rimane, studiando retorica, filosofia e matematica, fino al maggio 1577. Decisivo per Ricci fu l’insegnamento della matematica e delle scienze applicate ottenuto da Cristoforo Clavio.  

1577: Agli inizi del 1577, il nuovo Generale della Compagnia, padre Everardo Mercuriano, decide di inviare nuovi missionari in Oriente, accogliendo le richieste pressanti del procuratore delle Missioni in India, il portoghese Martino da Silva. Tra i prescelti vi è anche il Ricci, non ancora sacerdote. Il 18 maggio, con la benedizione di Gregorio XIII, lascia Roma, ancora studente di filosofia, per il Portogallo, insieme ad altri compagni. Senza passare per Macerata, si dirige a Genova; da qui, per mare fino a Cartagena, in Spagna. Di nuovo, per terra fino a Lisbona, dove giunge nel mese di luglio. Dato il patronato portoghese sulle Missioni d’Oriente, non si poteva partire per l’estremo Oriente che da Lisbona, una volta l’anno, in primavera. In attesa della partenza, in agosto Ricci va a Coimbra, in un Collegio della Compagnia e vi rimane fino al marzo 1578 studiando la lingua portoghese e forse iniziando teologia.  

1578: Il 24 marzo parte da Lisbona per Goa sul galeone «San Luigi» con altri 14 confratelli. Una violenta tempesta spinge il galeone quasi sulla costa brasiliana. Presso il Capo di Buona Speranza la nave è sul punto di affondare. Il 13 settembre, dopo quasi sei mesi di viaggio, il galeone portoghese approda a Goa, dove era sepolto Francesco Saverio, morto alle porte della Cina due mesi dopo la nascita del Ricci.  

1579: Risiede a Goa insegnando lettere classiche nelle scuole della Compagnia.  

1580: Viene mandato a Cochin per rimettersi in salute dopo aver subito attacchi di malaria; vi regge la classe di latino per 4-5 mesi. Qui riceve gli ordini sacri e il 26 luglio celebra la prima messa (lettere da Cochin da gennaio a novembre).  

1581: Attende a Goa allo studio del 2° e 3° anno di teologia.  

1582: Il padre Michele Ruggeri, che si trova già a Macao, sollecita da tempo l’arrivo del giovane Ricci, che infine riceve dal Visitatore Alessandro Valignano l’ordine di recarsi a Macao per studiare la lingua cinese e prepararsi a entrare in Cina. Ricci parte da Goa il 26 aprile insieme a padre Francesco Pasio e giunge a Macao il 7 agosto delle stesso anno, facendo forse una breve sosta a Cochin e di nuovo una sosta di due settimane a Malacca. Porta con sé «un horologio da rote assai bello, che gli haveva donato il p. Proposito dell’India, per valersene alla China» (E,XIV). Nel viaggio da Malacca a Macao Ricci è affetto da una così grave malattia che crede di morire; «ma dipoi, con la gratia d’Iddio, in terra mi ritrovai bene» (L,45). Qui si applicò intensamente allo studio della lingua cinese. «Arrivassimo in questo porto della Cina in agosto e stessimo poco più d’un mese in mare [...] Subito mi detti alla lingua cina [...] Quanto al parlare è tanto equivoca che tiene molte parole che significano più di mille cose et alle volte non vi è altra differenza tra l’una e l’altra che pronunciarsi con voce più alta o più bassa in quattro differentie de toni; e così quando parlano alle volte tra loro per potersi intendere scrivono quello che vogliono dire; chè nella lettera sono differenti l’una dell’altra [...] la scrittura cinese ha tante lettere quante sono le parole o le cose, di modo che passano di settanta mila, e tutte sono molto differenti e imbrugliate [...]; il loro scrivere più tosto è pingere; e così scrivono con pennello come i nostri pintori». (L,45). Intanto assiste dalla base ai ripetuti tentativi (falliti) di entrare in Cina da parte dei confratelli Ruggeri (giugno 1582), Ruggeri-Pasio (settembre/ottobre 1582), Ruggeri-Pasio (luglio 1583).  

1583: «Tra un mese entrerò in Cina, se non m’inganno», dice in una lettera del 13 febbraio. Ma il terzo tentativo di Ruggeri-Pasio, senza Ricci, nel luglio dello stesso anno fallisce. In questa occasione Ricci scrive che i Padri se ne ritornarono a Macao «con la speranza, quasi tutta persa, di potersi mai conseguire questa entrata e stata nella Cina, e molto manco mentre durava questo Viceré,…» (E,124). Qualche tempo dopo, Ricci e Ruggeri, con il permesso del vicerè Co e scortati da un suo soldato, si dirigono a piedi verso Zhaoqing, nella provincia di Canton, dove giungono il 10 settembre. Accolti favorevolmente dal Governatore della città Wang Pan, iniziano a costruire una prima casa e la prima chiesa che portano a termine nel 1585: «…con occasione di un horiuolo di ferro,[…] alfine fussimo admessi nella città di Sciaochino, città nobile dove risiede il vicerè di queste prime provincie della Cina, che loro chiamano Quantum» (L,158). La condizione per avere un terreno su cui costruire una casa con cappella, essendo stranieri, è quella di accettare di essere equiparati ai bonzi: devono cambiare le vesti con quelle dei monaci buddisti e radersi barba e capelli. Riportiamo alcune tra le prime osservazioni sulla Cina: «Darò nova solamente della Cina, dove al presente mi ritruovo […] per essere questa la maggior maraviglia che in questo Oriente si ritruova di cose naturali e soprannaturali» (L,111). «…la Cina è differentissima delle altre terre e genti, percioché è gente savia, data alle lettere e puoco alla guerra, è di grande ingegno e sta adesso più che mai dubia delle sue religioni o superstitioni...» (L,362). « Per essere questa terra grande e stesa, non solo da Levante a Ponente, come la nostra Europa, ma anco dal settentrione al mezzo giorno produce tutta insieme più varietà di cose che altra nessuna;…» (E,12) «…questo ampissimo regno sta tutto dato in lettere, cioè in composizioni eleganti, che se fossero scientie sarebbe manco male, e così l’armi sono in bassissima stima» (L,325). «…la terra è tutta divisa per fiumi navigabili, maggiori che il Po; talché di qui a Pechino, che è la corte del Re, che sono tre mesi di cammino, tutto si può andare per barca e con barche molto grandi, nella bellezza delle quali ben gli possiamo cedere noi di Europa e tutte le altre nazioni…» (L,112). L’accoglienza a Zhaoqing è tutt’altro che ospitale: Ricci viene accusato di organizzare il commercio di bambini per venderli schiavi a Macao. Ruggeri è accusato di aver usato violenza alla moglie di un giovane convertito. I padri vengono accusati da un consiglio di anziani di Canton («i satrapi di Canton») di volere in realtà istituire un centro eversivo. Scrive il Ricci al De Fabii: «Un anno fui accusato e menato al governatore per ladrone di fanciulli per mandarli a vendere nelle nostre terre; l’altro anno fu accusato il mio compagno di altra cosa anco peggiore, […]Molte volte fossimo posti in sospetto de spioni, non da gente bassa se non dei più vecchi e satrapi della metropoli di Cantone, della quale con molta fatica scappassimo; altre volte furono poste polize infami contra di noi per la città; altre volte assaltata la casa con molte sassate e danno della casa e delle nostre persone, oltre le molte ingiurie che è cosa quotidiana, che ci dicono sempre per le piazze e per le strade quando passiamo. Facci conto che il demonio ci tratta come suoi adversarij capitali che ci tiene in sua casa» (L,160-1)  

1588: Ruggeri viene inviato a Roma per organizzare un’ambasciata del Papa presso l’Imperatore della Cina. In aiuto di Ricci viene inviato il padre De Almeida.  

1589: Nel mese di luglio il nuovo vicerè di Zhaoqing decide di impadronirsi della casa dei padri che, essendo in stile europeo, era considerata una meraviglia della città. Egli intende dare una somma simbolica, che Ricci rifiuta. I due padri, Ricci e De Almeida, si preparano per far ritorno a Macao, dopo aver salutato i circa 80 cristiani convertiti nei sei anni della loro permanenza. Erano giunti a Canton, quando il vicerè manda a chiamarli per dire loro che non intede espellerli, ma inviarli in altra città. Ricci chiede di essere mandato a Shaozhou. Il 26 agosto 1589 i missionari arrivano a Shaozhou, dove fondano una seconda residenza. «Partendo la seconda volta di Sciaochino ce ne venissimo in questa città di Sciaoceo, e rifacessimo di novo un’altra casa et un’altra chiesa assai migliore che quella di Sciaochino, e ritrovassimo questa gente più benevola e cominciassimo anco a fare alcuni christiani» (L,161).  

1591: La città è poco salubre a causa della malaria e, sotto gli attacchi ripetuti di questa, muore il confratello De Almeida (17 ottobre 1591): Questo viene sostituito dall’italiano Francesco De Petris.  

1592: Nel mese di luglio la casa è assalita da giovani teppisti di stanza in una vicina pagoda. Ricci, nella difesa della casa, si ferisce a un piede.  

1593: Il 5 novembre muore di malaria anche F. De Petris.  

1594: Ricci comprende che per la buona riuscita della sua missione è necessario saper scrivere in cinese e stampare libri: «Più si fa nella Cina con libri che con parole» (L,470). E altrove: «…quest’anno mi determinai pigliare un maestro, [...] per vedere se poteva cominciare a comporre alcuna cosa, e mi riuscitte assai bene. [...] e così cominciai un libro delle cose della nostra fede, tutto di ragioni naturali, per distribuirlo per tutta la Cina quando si stamparà» (L,189). Informa, al tempo stesso, che ha tradotto in latino i Quattro libri confuciani: «…voltai in latino il principale libro morale di questi regni, […] (i Quattro libri di quattro filosofi assai buoni,) cosa che si può leggere, per esser tutto fatto di sententie morali assai acute e buone» (L,192). Comprende, intanto, che è giunto il momento di liberarsi dal nome e dall’abito di bonz «…determinassimo sbandire il nome di bonzo, con che sin hora ci avevano chiamato in questo regno, che è tra loro come frate, ma cosa molto bassa; [...] (la setta) de’ bonzi [...] è la più bassa per esser di gente povera senza studio de lettere [...] per questo, per più che ci autorizzassemo, molti fanno scornio di noi, e i letterati non ci vogliono dare luoghi che conviene [...] perché nessun gentilhuomo tratta con bonzo familiarmente,…» (L,309). Indossa l’abito di letterato, così descritto da Matte «Io vo nell’abito proprio de’ letterati, il quale è una veste paonazza bruna, colle maniche molto larghe e aperte; e quasi al lembo giù a’ ìiedi, per tutto intorno girata d’una fascia, larga meglio di mezzo palmo, di color turchin chiar e la medesima cinge all’orlo le maniche e il bavero che scende giù fino alle reni; La cintura, piana e cucita in parte alla veste, è della medesima materia e colore che i lembi, solo un non so che diversamente orlata; come altresì due strisce che dall’annodatura ne pendono, distese giù fino ai piedi. I calzari sono di seta con certi lor fregi e divise proprie di tal grado; La berretta va più alto che la nostra d’Europa, e in diverso colore e somiglia un non so che le mitre de’ vescovi»(L,539-40).  

1595: Matteo decide infine di tentare l’obiettivo che sin dall’inizio lucidamente si era proposto, d’intesa con il Valignan giungere a Pechino. Egli scrive: «Intesi sempre che non si può far niente di buono in questo regno da’ nostri sino a tanto che non facciamo stanza in Pachino…» (L,277). In questo stesso anno, Ricci ottiene di essere accolto al seguito di un potente Mandarino, diretto a Pechino per assumere incarichi nella Capitale, per tentare di curarne un figlio caduto in depressione. Tuttavia, a causa di incidenti verificatisi nella prima parte del viaggio, il mandarino decide di proseguire a piedi e chiede a Ricci di tornare indietro. Dinanzi alle insistenze di questi concede allo straniero di potersi recare fino a Nanchino. Durante il viaggio, navigando lungo il Fiume Gan, l’imbarcazione dove si trovava Ricci fu travolta dalle acque in un punto chiamato Tianzhu tan, e il missionario si salvò fortunosamente. Sorte migliore invece non ebbe l’accolito cinese Joâo Barradas, che viaggiava insieme a Ricci, il quale morì annegato. Da Nanchino, Ricci viene cacciato in modo rude da un Mandarino, con l’accusa di tramare contro le istituzioni e di sovvertire l’ordine sociale cinese. Ricci ripiega allora su Nanchang, capoluogo del Jiangsi, dove arriva il 28 giugno, fondandovi la terza residenza. Decisiva si rivelò in questa città l’amicizia con due principi, il Principe di Lean e il Principe di Jian’an. A Nanchang, Ricci fu accolto favorevolmente dai Mandarini e dai letterati di quella città, ma provvidenziale si rivelò l’amicizia con il Ministro dei Riti. Questi infatti, venuto a conoscere la grande competenza di Ricci in fatto di calcoli matematici, decise di portarlo con sè nella capitale per fargli revisionare il calendario cinese. «E’ questa città una delle più principali e nobili della Cina, non solo per esser metropoli di sì nobile provincia, ma anco per esser in se stessa bella, grande e di grandissimi ingegni, per il che di qui escono molti grandi huomini a governare vari luoghi della Cina» (L,279). Qui pubblica le prime opere in cinese: Sull’amicizia (1595) e Mnemotecnica occidentale (1596). Riguardo a quest’ultima opera Ricci scrive: «Per la memoria locale, che molti mi chiedevano, feci in sua lingua e lettera alcuni avisi e precetti in un libretto …» (L,336). «L’anno passato per esercitio feci in littra cina alcuni detti De Amicitia, scielti i migliori de’ nostri libri ...» (L,337). «Questa Amicitia mi ha dato più credito a me et alla nostra Europa di quanto abbiamo fatto; perchè l’altre cose danno credito di cose mecaniche e artificiose di mano e di instromenti; ma questa dà insieme credito di lettere, di ingegno e di virtude; e così è letta e ricevuta da tutti con grande applauso e già la stampano in due luoghi» (L,363-4).  

1597: Nomina di Ricci a superiore della missione. Valignano decide che Ricci deve fare ogni sforzo per stabilirsi a Pechino. Ordine di Valignano a Ricci di recarsi a Pechino.  

1598: Tentativo fallito di stabilirsi a Pechino. Al seguito del Ministro dei Riti che intendeva fargli riformare il calendario cinese, il 25 giugno Ricci lascia Nanchang alla volta di Nanchino prima, e di Pechino successivamente, dove giunge il 7 settembre. Frattanto, per via dell’invasione della Corea da parte del Giappone, il clima di forte sospetto verso gli stranieri convince Ricci a lasciare Pechino, per non compromettere quanto fino ad allora era stato faticosamente realizzato. Tornando verso sud, Ricci fa tappa a Suzhou, poi a Danyang, quindi a Nanchino.  

1599: Ritornato a Nanchino nel febbraio, decide di fondare in quella città un’altra residenza. Intanto è rientrato l’allarme sul pericolo spie, in quanto Toyotomi Hideyoshi era morto nel settembre dell’anno precedente e la guerra con il Giappone si era conclusa. «Questo è quel Nanchino che vogliano li Cini che sia la maggior e più bella città di tutto il mondo. Et io nel vero confesserò che sia la migliore di tutti questi regni orientali, et osarei dire che a poche città del mondo sia inferiore...» (L,275).  

1600: Approfittando dell’arrivo da Macao di due confratelli, Lazzaro Cattaneo e Diego de Pantoja, e incontrando il parere favorevole dei Mandarini di Nanchino, Ricci, insieme a Pantoja, parte di nuovo per Pechino (19 maggio 1600). I padri però vengono bloccati per diversi mesi nella fortezza di Tianjin dal potente eunuco Ma Tang.  

1601: Per decreto dell’imperatore Wanli (1573-1619) viene ammesso a presentare doni alla Corte quale ambasciatore d’Europa. Il 24 gennaio entra a Pechino, dove l’imperatore esige che egli rimanga per tutta la vita, impegnandosi a sostenerlo, insieme ad altri quattro confratelli, a spese del pubblico erario. Qui la posizione del missionario si consolida definitivamente; durante gli anni di permanenza a Pechino abbracciano il cristianesimo alcuni fra i più alti funzionari dell’apparato burocratico civile e militare cinese, quali Yang Tingyun (1557-1627), Feng Yingjing (1555-1606), morto però senza aver ricevuto il battesimo, Xu Guangqi (1562-1633), che rivestiva la carica di Gelao, battezzato con il nome di Paolo nel 1603 a Nanchino dal P. João da Rocha, e Li Zhizao (1565-1630), battezzato nel 1610 con il nome di Leone. Tutti questi, oltre a proteggere missionari e convertiti, collaborarono attivamente con Ricci nella traduzione in cinese di opere scientifiche europee e nella redazione del Mappamondo che rese famoso il maestro occidentale in tutta la Cina. Intanto Ricci continua ad avere accesso al palazzo imperiale: «Noi entriamo nel palazzo tutte le volte che vogliamo, ma sempre procuriamo entrarvi con qualche occasione, o di vedere come stanno i due horiuoli che dessimo al re, o altra cosa simile...» (L,502). Regala un manicordo all’imperatore e compone le Otto Canzoni: «De instrumenti musici hanno e copia e varietà, ma non hanno organi né gravicembali o Manicordi. […] Con tutto ciò stanno stupiti de gli organi et altri stromenti de’ nostri, che sin adesso potero vedere.» (E,22)  

1602: Pubblica in terza edizione, con la collaborazione di Li Zhizao, il Mappamondo cinese in sei pannelli.  

1603: Pubblica il trattato Vera spiegazione del Signore del Cielo; nuova edizione del Mappamondo in otto pannelli.  

1605: Pubblica il Sommario della dottrina cristiana e le Venticinque sentenze morali.  

1607: Pubblica la traduzione dei primi sei libri della Geometria di Euclide, in collaborazione con l’amico Xu Guanqi. «Il nostro dottor Paolo prima di gire a sua terra a sepellire suo padre Leone, che era morto, conforme al custume di questa terra, fece stampare i sei primi libri di Euclide, che avevamo l’anno passato insieme voltato in lettera cinese; e fu cosa di grande maraviglia, in questo mondo di qua mai più vista, tal modo di libro e maniera di provare e dimostrare sì evidentemente.» (L,487). Con le sue altre opere scientifiche e tecniche ha acquisito forma di massimo matematic «Come io qua con questi mappamondi, horiuoli, sphere e astrolabij et altre opre, che ho fatte e insegnate, venni a guadagnar nome del maggior matematico che ha nel mondo, e se bene non ho qua nessun libro di astrologia, con certe efemeridi e repertorij portoghesi, alle volte predico le eclissi assai più puntuali che loro;…» (L,408). «…e così tutti ci cedono in questa materia e ci tengono rispetto più che ordinario;…» (L,496).  

1608: Stampa i Dieci paradossi o Dieci capitoli di un uomo strano; nello stesso anno inizia la redazione di Della entrata della Compagnia di Giesù e Christianità nella Cina. «Io mi ritrovo in questa corte di Pachino assai vicino ai Tartari, e par che qui finirò la mia vita, percioché il re mostra voglia che io stia qui e ci sostenta e difende…» (L,389). E aggiunge: «Il mio esercitio è continuamente fare e ricevere visite di gentiluomini, che di continuo vengono a domandar delle cose di nostra fede e delle nostre scienze [...]. Restano stupiti dei libri d’immagine che pensano che siano scolpite e non possono credere che siano dipinte.» (L,391-2). Stanco per la sovrumana fatica compiuta nel corso degli ormai ventisette anni di Cina, Ricci presagisce non lontana la propria fine: «Io nel vero non posso promettermi molti anni, e già sto bianco tutto, e questi Cinesi si maravigliano che in età non molto provetta io sia sì vecchio, e non sanno che loro sono la causa dei miei cani capelli» (L,401) e osserva, ben conscio della grande novità prodottasi nella storia della Cina: «…doppo che la Cina è Cina mai vi è memoria che nessun forastiere stesse in essa come noi stiamo;…» (L,362).  

1610: Muore l’11 maggio. Per la prima volta nella storia della Cina viene concesso un terreno per la sepoltura di uno straniero. La tomba di Ricci è ancora oggi onorata a Pechino.

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