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DALLA FONDAZIONE DI MONTERADO ALLA FINE DEL DUCATO DI URBINO
Pur essendo sotto l'influenza religiosa ed economica del monastero di Fonte Avellana, Monterado, in tutto il suo corso della storia, ha legato le sue vicende a quelle di Senigallia, sia per l'appartenenza religiosa alla diocesi, che per quella politica alla comunità senigalliese. Il sorgere del centro di Monterado avviene nel periodo di grande decadenza di Senigallia, causata dalla distruzione del Re Manfredi nel 1264, dall'eccidio di millecinquecento cittadini nel 1280 da parte di Guido di Montefeltro, dalle incursioni di Pandolfo e Ferrantino Malatesta nel 1307 e da calamità naturali come malaria, peste e alluvioni. Ma poi Senigallia risorge e nel 1355 il Vescovo Ugolino Federicucci riceve dal card. Albornoz l'incarico di prender possesso, per conto della Chiesa Romana, della città, del comitato e distretto di Senigallia e il 17 luglio 1355 entra e prende possesso di Monterado, ricevendone le chiavi del castello dove entra e dimora e vi costituisce capitano Ciccoli Casi già di Montesecco al quale consegna le chiavi del castello con l'ingiunzione di difenderlo sotto la pena di mille fiorini d'oro.
Nell'ottobre 1395 Luca di Fabriano, rettore della chiesa di S.Paterniano di Monterado, aggredisce nella pubblica piazza, Paoluccio di Antonio di Corinaldo, presso il forno della comunità e la fossa del castello, percuotendolo a sangue con bergamasco di ferro che aveva in mano, "istigato da spirito diabolico". Ma detto prete "non contento" di questo fatto, nel mese di gennaio del 1398, armato di una panzeria de ferro... bergamasco, una daga de ferro... e chiavarina ferrata insulto ed aggredì di nuovo il Paoluccio nella strada pubblica, avanti alla sua casa e presso il pozzo comune, percuotendolo a sangue nel capo e nel dito medio della mano sinistra. Dopo questa nuova aggressione, D. Luca di Fabriano, inquisito dal vescovo di Senigallia Giovanni Faytani, venne privato del beneficio. Il 26 gennaio 1399 Bonifacio IX confermò i Malatesta nella Signoria del vicariato di Senigallia e, in un documento del 1402, si specificano le imposte sui pascoli e sul bestiame che dovevano esser pagate dai contadini di Monterado. In un altro documento del periodo della signoria di Sigismondo Malatesta (1445-1463) si trova l'istanza di una certa ebrea che esercitava la medicina nei tre castelli di Monterado, Roncitelli e Scapezzano. Il 25 settembre 1463, nella pianura del Cesano, viene sconfitto Sigismondo Malatesta da Federico da Montefeltro, duca d'Urbino, che conquista per il papa Pio II il Vicariato di Mondavio e altre terre e castelli fra cui Monterado, Ripe e Tomba, ad eccezione di Mondolfo e S. Costanze, nelle quali terre "non volle entrare a causa della peste che vi regnava".
Quindi tutte queste terre con Senigallia che era stata conquistata l'8 ottobre 1463, furono concesse ad Antonio Piccolomini, duca di Amalfi, nepote di Pio II e genero di Ferdinando I d'Aragona, Re di Napoli. Alla morte del Papa, l'anno successivo, i senigalliesi scacciarono il Piccolomini e al nuovo papa Paolo II, eletto il 31 agosto 1464, furono inviati ambasciatori "dei castelli del Vicariato e del Conta di Senigallia e S. Costanze ...Ce fu da fare assai che lui li vuolesse accettare, se non che il Card. di Theano esortò il Papa con dire che loro si redurrebbero alla Casata delli Malatesti, ancora non li accettaria, infine li accettò con questo che tutte le gabelle et datii della terra fossero loro, e che loro havessero a pagare al Papa cinquanta ducati d'oro di Cammera... et essi furono gli huomini molto contenti, et soddisfatti e fecero gran festa alla tornata... Fu fatto per mano del Governo il Consiglio e fu fatto la Bussola del Consiglio, e delli Antiani, e fu messo trentasei huomini della città in Consiglio, e diciotto da Scapezzano, e sei da Roncitelli, e sei da Ripe e sei da Monte Rado; e fu di numero di settantadoi Consiglieri, li quali havevano libertà di far gratia da condannatione, et eleggere il Podestà e tutti gli Officiali, et ogni dì stavano in Palazzo sei Antiani tre della città et tre del Conta".
Da questo manoscritto si ha la conferma della piena dipendenza di Monterado da Senigallia. Monterado era considerato alla stessa stregua di Scapezzano e Roncitelli, località che sono state sempre soggette a Senigallia e che anche attualmente sono frazioni di questa città. Si rileva inoltre che sei monteradesi facevano parte del Consiglio di Senigallia. Paolo II accettò la sottomissione di Senigallia, del vicariato di Mondavio e delle terre e castelli limitrofi. Giacomo Piccolomini, fratello di Antonio Piccolomini e signore di Montemarciano, con l'aiuto di alcuni fuorusciti senigalliesi, tentò, con un colpo di mano, di impadronirsi di Senigallia il 28 luglio 1472, ma fallì l'impresa. Il 12 ottobre 1474 "Giovanni della Rovere, Duca di Sora ed Arci, Prefetto di Roma... allora in età di anni 17" da Sisto IV, suo zio, venne "investito della Signoria di Sinigaglia, del Vicariato di Mondavio, che infin d'allora incorporossi alla Signoria di detta città, in cui fra Terre, e Castelli venticinque luoghi murati si contano, e comprendono... In questo medesimo tempo si celebrarono in Roma con pompa solenne... gli sponsali di questo Principe con Giovanna di Monte Feltro, figlia del famoso e celebre Federico di Monte Feltro Conte d'Urbino", creato duca il 25 marzo 1472. Sotto Giovanni della Rovere fu elargito lo Statuto prima a Tomba, poi a Ripe e, nel 1475, a Monterado. Nel 1501 Francesco Maria della Rovere succedette al padre, sotto la tutela dello zio Guidobaldo, duca d'Urbino. Ma nel giugno del 1502 il duca Valentino Borgia occupò il ducato d'Urbino e zio e nipote dovettero fuggire. Il Valentino nel dicembre dello stesso anno cinse d'assedio Senigallia, difesa da Andrea Boria. Il 31 dicembre 1502 Senigallia fu conquistata e saccheggiata.
Dopo la morte di Alessandro VI, il Valentino perdette ogni sua signoria e nel giugno del 1504 il Della Rovere rientrò in Senigallia. Francesco Maria della Rovere, nipote del papa Giulio II, nel 1508, alla morte di Guidobaldo d'Urbino, gli succedette in tutti i possedimenti del ducato d'Urbino e nel 1513 fu anche investito della signoria di Pesaro, mantenendo i possedimenti di Senigallia. Sotto il pontificato di Leone X furono tolti al duca di Urbino tutti i suoi domini e concessi quindi in signoria a Lorenzo dei Medici, nipote del papa, ampliando il potere di quella famiglia con una politica di espansione e di consolidamento strategico della signoria di Firenze e della Toscana. Il Della Rovere fu scomunicato e quindi, assalito dalle truppe inviate dal papa, dovette fuggire e si rifugiò a Mantova. Tentò nel 1517 di recuperare il suo Stato, ma non vi riuscì. Riconquistò invece tutti i suoi domini nel dicembre 1521, dopo la morte di papa Leone X. Dopo la rapida riconquista di tutte le loro terre, i Della Rovere resteranno signori del ducato d'Urbino, di Pesaro e di Senigallia per oltre un secolo e cioè sino al 1631, quando si estinguerà la famiglia roveresca. E in questo secolo i loro domini godranno di pace e tranquillità sotto un governo paternalistico, ma illuminato e tutto lo Stato verrà rinnovato ed organizzato modernamente tanto da essere considerato uno dei meglio amministrati d'Italia.
I duchi d'Urbino per molti anni diedero in signoria il territo rio di Tomba, Ripe e Monterado ai conti Landreani in ricompensa della loro fedeltà e per i servigi da questi resi ai Della Rovere, specialmente nei momenti di maggior bisogno, di traversie e di pericolo. II primo signore dei castelli suddetti fu Ambrogio Landreani. Egli, "dopo di essere stato capitano di cavalli del Card. Giulio della Rovere, battute le truppe di Alessandro VI presso Bracciano, si condusse ai servigi dei Signori di Urbino" e in favore di questi combattè da valoroso tanto che nel 1512 il duca Francesco Maria I lo nominò luogotenente generale delle sue truppe e gli conferì il ti tolo di conte. Quindi nel 1517 combattè a fianco del duca d'Urbino per il primo tentativo di riconquista del ducato. Francesco Maria della Rovere il 4 settembre 1522 era stato nominato Capitano Generale dei Fiorentini e il 5 settembre 1523 Governatore Generale della terraferma dei Veneziani. Per tutti questi importanti incarichi, essendo costretto a stare lontano dal ducato d'Urbino, nominò suo Luogotenente Generale, Ambrogio Landreani, come risulta dai vari documenti e ciò sicuramente fino al 1529. Non è certo l'anno in cui il duca d'Urbino creò signore di Tomba, Ripe e Monterado il conte Ambrogio Landreani, ma risulta di sicuro che egli fu il primo ad essere investito della suddetta signoria. Il conte Ambrogio Landreani nel 1536 era già morto, come ce ne fa fede una lettera della duchessa d'Urbino diretta ai "Regolatori della Città di Sinigaglia" in data 30 agosto 1536, nella quale è detto che "Madonna Catharina Landreana si è doluta che voi la costringete satisfare l'imposta... non solo per il tempo dopo la morte del Conte Ambrosio suo consorte, ma per molti anni prima...".
Molto probabilmente per qualche anno, dopo la morte di Ambrogio, i tre paesi tornarono alle dirette dipendenze del duca d'Urbino e anche sotto una certa quale influenza di Senigallia, tanto che alla morte di Giovanni Maria I, con pubblico Consiglio, la Comunità di Senigallia, per propria deliberazione in data 3 marzo 1539 donava Monterado ad Eleonora Gonzaga, vedova del duca. Ma in seguito Antonio Landreani, in occasione delle sue nozze con Camilla, figlia naturale di Guidobaldo II di Urbino, ebbe in signoria, come già il conte Ambrogio, il territorio di Tomba, Ripe e Monterado ed in più anche Orciano. Bernardo Tasso nell'Amadigi di Gaula, descrivendo la corte d'Urbino, così parla di Antonio Landreani e lo pone a fianco di Guidobaldo II:
"Quel cavalier, ch'alia sinistra mano
Seco favella, e gli sta sempre a canto,
Ch'ave su l'elmo la Virtù, che a mano
Porta l'Onor dentr'un pungente acanto,
Nato in Ancona, Antonio è Landriano
Saggio ed ardito, ed a lui caro tanto
Quant'è la luce all'occhio, al corpo l'alma;
Di più d'un pregio altero, e d'una palma".
Antonio Landreani morì, molto probabilmente, nel 1558 senza lasciare eredi e così Guidobaldo II il 6 settembre 1559 donava Orciano a Pietro Bonarelli di Ancona, suo coppiere, e Tomba, Ripe e Monterado a Giuseppe, Francesco e Gianfrancesco Landreani con il titolo di conti e con il privilegio di porre "l'aurea rovere nello stemma di famiglia". I Landreani furono molto onorati alla corte di Urbino, specialmente da Guidobaldo II che li ricoprì di benefici e ad alcuni diede in.moglie proprie parenti: ad Antonio Landreani la figlia naturale Camilla, a Fabio Landreani la propria nipote Costanza, figlia di seconde nozze di Camilla. Questa particolare benevolenza del duca fu anche causa di malevolenza ed invidia da parte di altri cortigiani e di sospetti nell'animo di Francesco Maria della Rovere, figlio di Guidobaldo II ed erede al ducato.
Alla morte di Gianfrancesco Landreani, avvenuta nel 1575, la Comunità di Senigallia, incominciò a ritirare tutte le concessioni fatte ai Landreani tanto che dovette intervenire più volte il duca Francesco Maria II e poi cercò di poter riconquistare il dominio di Tomba, Ripe e Monterado, "essendo mancata la linea dei compresi nella investitura di quei tre Castelli", ma senza alcun successo. Il duca d'Urbino in data 23 aprile 1577, da Pesaro, così scrive ai senigalliesi: "Habbiamo volentieri inteso il cittadino vostro mandato, et quanto in vostro nome ci ha detto; et di tutte le proposte fatteci non abbiamo per ancora potuto dargli risoluzione certa, poiché tuttavia si attende; circa quelli che hanno havuti privilegii, et esentioni dagli Ill.mi Signori nostri predecessori, et si verrà ancora a risolvere quanto si debba fare colli beni già delli Conti Landreano et anco de Ripe e Monterado". Ma nel 1578 il duca diede Tomba, Ripe e Monterado ad Alfonso Piccolomini, signore e duca di Montemarciano. Questo dominio durò ben poco ed il Palmesi ha ben ragione di meravigliarsi della concessione del duca d'Urbino, portato a ciò dal costume dei tempi, dalla convenienza politica e dalle alleanze con altri principi. Ma il Piccolomini non era certamente uomo adatto e degno di governare. Il Natalucci lo definisce "capo astuto ed indomabile" dei banditi della Marca. "Portava i capelli lunghi e spaventava con l'espressione terribile del suo sguardo i contadini che spesso minacciava e rendeva compiici delle sue malefatte: i suoi movimenti erano eseguiti con la rapidità del fulmine ed egli batteva tutte le truppe che lo inseguivano". "Alla testa di duecento banditi a cavallo si impadroniva di paesi intieri e lor dettava legge e da per tutto spargeva il terrore col saccheggio e con la violenza di ogni genere. Spogliava i viandanti, pigliava cavalli e buoi, bruciava casali se i suoi ricatti non erano corrisposti... Invase anche la vicina cittadina di Ostra, e vi fece mettere a supplizio i suoi avversari tra il ballonzolare dei masnadieri". "Il Piccolomini si poteva considerare il vero capo dello Stato Pontificio".
Per diversi anni si ritirò a Firenze, ma dopo la morte del papa Sisto V, nell'estate 1590, ritornò a Montemarciano e riprese la sua attività brigantesca. Ma il 2 gennaio 1591 fu catturato dalle truppe toscane che lo inseguivano "nei confini di Cervia et Cesena" e quindi, per i suoi numerosi delitti, il 16 marzo 1591 all'età di anni trenta fu giustiziato a Firenze. Il dominio dunque del Piccolomini sui tre castelli durò poco più di un anno, ma con effetti non certamente benefici. Fra l'altro aveva estesa tanto la bandita di caccia "che quasi tutto il territorio è bandita"; e il duca di Urbino, ripreso il dominio di queste località, dovette ordinare che tutto fosse ripristinato come era in precedenza. Il Consiglio della Comunità di Senigallia, nella seduta del 22 marzo 1582, propose e decise di domandare al duca Francesco Maria II della Rovere "che li Castelli di Ripe e Monterado tornassero sotto questa città, coni'era prima". E tale azione verrà rinnovata dai senigalliesi, ma ancora una volta inutilmente perché il duca d'Urbino prima ritenne per sé i tre castelli e poi, verso la fine della sua vita, nel 1626, li donò in signoria al marchese Giulio della Rovere, nobile genovese suo parente, dandone notizia alle comunità di Tomba, Ripe e Monterado con la seguente ettera: "Magnifici dilettissimi nostri. L'affetto particolare, et la nostra amorevolezza che in tutti i tempi, et occasioni ha dimostrato verso noi il Sig.Giulio della Rovere nobile Genovese, et tutta la sua casa, la nascita di lui, e l'esser egli della nostra famiglia della Rovere, oltre il molto merito, bontà et honorabilità, qualità che concorrono in esso, e nei suoi figli, et il desiderio che teniamo che doppo i nostri giorni resti in questi paesi qualche memoria della nostra Casa rechiedevano che da noi se gli facesse ogni possibile dimostrazione di gratitudine, e se gli desse qualche pegno dell'amore, et buona volontà che gli portiamo. Onde per i detti rispetti, et per molti altri noti a noi habbiamo investito lui, e i suoi figli, e discendenti di cotesto Castello della Tomba, e di quelli di Ripe e Monterado con la totale giurisdizione, e col mero, e misto imperio, e con l'istessa autorità, e facoltà ch'abbiamo noi medesimi.
Vi notifichiamo pertanto questa nostra deliberazione ad effetto che nell'avvenire dobbiate riconoscere il suddetto Sig.Giulio per nostra benevolenza et ubbidirlo con prestargli la dovuta fedeltà, et ammettere lui, o chi verrà in suo nome al possesso delli medesimi Castelli, et mostrarvi in tutte le occasioni verso la persona sua, et i suoi successori per tempo buoni, et fedeli sudditi assicurandoci all'incontro, che dal medesimo per la bontà, et qualità sue sarete in ogni tempo bene, et amorevolmente trattati, come anche potete esser certi che in tutte le occasioni nostre non mancheremo di havervi in quella protettione, che vi abbiamo tenuto fino hora, come ben dovuta all'amorevolezza, e fedeltà vostra. Iddio vi guardi. Con la morte di Francesco Maria II della Rovere, il 28 aprile 1631, tutto il ducato d'Urbino passò a far parte dello Stato della Chiesa secondo la volontà dell'ultimo duca e secondo anche le disposizioni della bolla di S.Pio V "Admonet nos" del 29 marzo 1567 per cercare di estirpare la mala pianta del nepotismo. Poco dopo anche Giulio della Rovere, avendo rinunciato alla signoria di Tomba, Ripe e Monterado a favore dello Stato Pontificio, il 21 giugno 1631 "il dottor Bartolomeo Bartolucci da Bareni... prese possesso per S.Romana Chiesa e Camera Apostolica della terra della Tomba, Ripe e Monterado". Questa nuova sudditanza venne accolta con certa preoccupazione per il timore di nuove gabelle e imposte e per paura dell'annullamento delle esenzioni e dei benefici in precedenza goduti. Così ebbe termine il periodo delle Signorie nel nostro territorio e gli avvenimenti più importanti storico-politici futuri saranno strettamente collegati con le sorti di tutto lo Stato della Chiesa.
VI INVITAMO A CONSULTARE ANCHE LA PAGINA DI PRESENTAZIONE DI MONTERADO
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