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Chiesa di San Nicolò

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E' la chiesa matrice e prepositura dedicata a San Nicolò da Bari. La struttura attuale, risalente alla prima metà del XVI secolo, sorge su un ambiente che in antico fu forse una cripta. La primitiva costruzione, che è da assegnare presu­mibilmente agli ultimi anni del 1400, era più bassa dell'attuale, con semplice soffitto a capriate lignee, copertura in coppi e abside con tre finestre a feritoria che oggi risultano murate. Nell'archivio parrocchiale i documenti più anti­chi, preziosi ma molto lacunosi, risalgono al 1500 e parlano di donazioni in favore dell'erigenda chiesa. Un documento di analogo tenore è datato 1542. E' certo che la chiesa era terminata e funzionante prima del 1612, anno in cui San Rocco veniva offerta agli Agostiniani. La chiesa di San Nicolo, infatti, doveva essere stata prescelta come chiesa della comunità per la sua maggiore ampiezza. Nel 1823, senza modificare la struttura interna a navata unica con cappelle laterali, la chiesa fu sopraelevata, fu realizzata la volta in stucco e sistemate le cappelle. Il radicale intervento si era reso necessario perché la chiesa «a tale stato di indecenza erasi ridotta che poteva chiamarsi fienile» (Decreto dell'anno 1823). L'esterno conservò l'originario paramento a matto­ni, tuttavia è visibile ancor oggi la linea di sutura tra vecchia e nuova costru­zione notandosi la diversità dei mattoni e della malta.

I lavori iniziarono forse sotto la guida dell'architetto Maggi che aveva steso un preventivo di spesa di 3600 scudi. I lavori andarono a rilento, forse per motivi economici, e con qual­che sospensione, ma finalmente furono ultimati e la chiesa fu consacrata nuo­vamente dal vescovo di Ripatransone, Monsignor Giuseppe Ceppetelli, il 5 novembre 1883. La chiesa si presenta con l'originale paramento a mattoni tipico dell'area marchigiana. I vari interventi, successivi all'impianto originario cinquecentesco, sono tuttora leggibili. La facciata è scandita da una cornice orizzontale e coronata da un timpano ai cui estremi sono collocati semplici acroteri. Il portale è opera di scalpellini ascolani. Il campanile, ampiamente ristrutturato, è una torre quadrata con cornici marcapiano e balaustrina sulla terrazza superiore dalla quale si eleva una cuspide. Nei due piani alti la massa muraria risulta aperta con una finestra su ciascun lato che, nell'attico, assume un andamento a bifora. L'interno è a croce latina con decorazioni pittoriche di Donato Loreti (1893), parzialmente ridipinte sugli originali da Dante De Carolis nel 1929. Sulla navata unica si aprono piccole cappelle rettangolari e si affacciano altari.

Sulle pareti della navata, scan­dite da paraste con capitelli ionici, opera dell'architetto ascola­no Giacinto Cantalamessa (1845), sono le statue in gesso degli Evangelisti, collocate in alto entro nicchie. Nel lato destro della navata, dopo un vano con apertura che immette all'esterno della chiesa, si apre la cappella della Santa Croce. In essa lo scultore ascolano Domenico Paci (1785-1863), che ha eseguito le principali opere in stucco all'interno della chiesa, ha realizzato Angeli seduti che recano i simboli della passione e il monogramma di Cristo racchiuso entro una coro­na di alloro dorato. Sull'altare è una pala raffigurante Sant'Elena e il ritrovamento della Croce. E' un olio su tela di buona esecuzione assegnabile alla scuola veneta del tardo Rina­scimento. Sull'altare vi è un tabernacolo dorato con la figura del Pellicano, simbolo della passione di Cristo. Segue una piccolissimo vano con l'immagine della Vergine. Nel transetto destro si erge l'altare dedicato a San Nicolo di Bari. Esso è ornato, in alto, con quattro Angeli che recano i sim­boli del Santo. La loro fattura poco raffinata ha indotto, a ragio­ne, il Nepi ad attribuirli a mano più modesta di quella del mae­stro ascolano. La pala, un olio su tela, raffigura San Nicolo da Bari, Patrono di Acquaviva, con ai piedi i tre bimbi che egli avrebbe sottratto alla morte. L'arcone che immette al presbiterio è ornato con stucchi del Paci: due Angeli in volo che sorreggono una targa ornata di fiori con la scritta «Pavete ad Sanctuarium meum/Nemo sordidus/ Nemo pollutus/ huc accedati Anno Domini MDCCCXLIII».

Nel presbiterio il Paci ha realizzato la sua opera più significati­va: la Gloria. L'artista, reinterpretando stilemi barocchi, ha saputo comporre un'opera pregevole nella quale gli effetti di raggiera sono sapientemente composti con piccole nuvole ovattate, Cherubini ed Angeli in volo. La "macchina" circonda una piccola immagine della Madonna col Bambino, di bella fattura, che è ulteriormente esaltata dal sovrastante aereo baldacchino sorretto da due Angeli. I lavori furono eseguiti dal Paci nel suo studio di Ascoli e la messa in opera ad Acquaviva fu del giova­ne nipote Giorgio Paci. L'altare maggiore è del Cantalamessa: un'ara racchiusa da due pilastrini classicheggianti. Nel transetto sinistro, è l'altare con il bel dipinto su tela raffigu­rante la Deposizione. E' un'opera assegnabile alla fine del '500 che denota gusto cromatico e sensibilità paesaggistica. Al cen­tro di una corona di Santi è la figura di Maria che, con trattenu­to dolore, sorregge il corpo del Cristo. Nel fondo si staglia il Golgota con le tre croci. Segue la cappella del Cristo Morto, chiusa da un arazzo, opera del pittore sambenedettese Don Luigi Sciocchetti (1917), che raffigura le Pie Donne al Sepolcro. Ai lati dell'arazzo, che è sollevabile per consentire di vedere l'interno, lo Sciocchetti ha dipin­to ad olio, direttamente sul muro, Angeli con i simboli della Passione.

All'interno della piccola cappella è la bara sulla quale si adagia il Cristo Morto. La bara è un sapiente lavoro ligneo ad intaglio attribuito a Francesco Evangelisti di Ripatransone atti­vo nel secolo XVII. La statua lignea del Cristo, con rari accenni di pittura, è un significativo lavoro assegnabile ai primi anni dello stesso secolo. Le braccia del Cristo sono unite al corpo con legamenti di cuoio che ne consentono l'articolazione. Un tempo, infatti, il Cristo, al Venerdì Santo, veniva issato su di un'alta croce e vi rimaneva per tre ore. In seguito veniva riadagiato nella bara per essere portato in processione. Nella cappella sono collocate, su appo­siti ripiani, otto statue in cartapesta raffiguranti i personaggi sacri che accompagnarono Cristo sul Golgota. Oltre a quattro Angeli, che recano i simboli della Passione, sono la Madonna, la Veronica che reca in mano il velo con l'impronta del Santo Volto, San Giovanni Evangelista e la Maddalena.

Ancora oggi la bara con il Cristo, accompagnata dalle otto statue, viene portata in processione per le vie del paese, alla luce delle fiaccole, alla sera del Venerdì Santo. La cappella del Rosario ha il ricco altare ornato con Angeli che sostengono il monogramma di Maria racchiuso entro una coro­na di rose dorate, opera anche questa del Paci. La pala raffigura la Vergine del Rosario con San Domenico; attorno sono disposte, a corona nella cornice, piccole tele con i Misteri del Rosario. E' un olio su tela copia da Federico Barocci di tale pregevole fattu­ra da ipotizzare che in essa abbia messo mano lo stesso maestro o un suo diretto collaboratore. L'originale (1592), nella Pina­coteca di Jesi, è privo dei Misteri, che sono andati perduti in un incendio, i quali erano stati realizzati da Antonio Viviani detto il Sordo. Sopra l'altare è un piccolo medaglione con il Sacro Cuore. Dietro alla tela è un vano che racchiude la statua lignea della Vergine del Rosario. La statua, abbigliata con una ricca veste ricamata settecentesca, recentemente restaurata, viene esposta nella chiesa ogni anno nel mese di ottobre che è dedica­to alla pratica del Rosario. Il Fonte Battesimale occupa il piccolo vano presso l'ingresso.

 

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