It looks like you don't have flash player 6 installed. Click here to go to Macromedia download page.
It looks like you don't have flash player 6 installed. Click here to go to Macromedia download page.
II colle, dove sorge Acquaviva Picena, è una delle terre emerse con il ritiro del mare pliocenico. Dopo un'iniziale erosione, dovuta a meteoriti ed altri vari agenti, la zona tornò sotto il livello del mare dal quale emerse definitivamente nella nostra era geologica. Nuovamente agenti atmosferici ed acque dilavanti tornarono a corrodere i fianchi dei colli, depositando i detriti nelle valli, e la zona raggiunse l'aspetto attuale così poeticamente descritto dallo storico acquavivano Amedeo Crivellucci (1850-1914): «tra i monti e il mare una lunga distesa di colline...una vasta pianura ondulata, simile ad un mare agitato». Il paese, a km. 7,500 dal mare, è situato su due colli attigui, il più alto dei quali, oggi rione della Rocca, è alto m. 360, mentre l'altro, il rione del Colle, è lievemente più basso. Attorno è un digradare di più basse colline, ad anfiteatro verso il mare, racchiuse dai torrenti Albula a Nord e Ragnola a Sud. L'intero territorio, oggi pertinente al Comune, si estende per 2089 ettari.
Questa è la zona che i primi abitanti dovettero trovare. Erano certamente nomadi che tuttavia si fermarono qui, nel loro andare, perché l'ambiente rispondeva alle loro esigenze, ricco com'era di caccia, pesca e vegetazione. Era il Paleolitico e la presenza di quei lontani progenitori è testimoniata da una bellissima e rara amigdala alla quale si aggiungeranno, nel Neolitico, altri affascinanti ritrovamenti, conservati presso diversi musei della regione. Ma è ormai prossimo l'avvento di una grande civiltà che, anche sul territorio acquavivano, lasciò cospicue tracce: la civiltà picena. Secondo gli antichi, i Piceni erano una stirpe sabina, emigrata dalla zona reatina in conformità all'uso del Ver Sacrum, la Primavera Sacra. Questo era un rituale dei Sabini, all'origine cruento, che prevedeva il sacrificio di tutto ciò che nasceva (uomini, animali e piante), tra il 1° marzo e il 30 aprile, al fine di propiziare la rinascita della natura in primavera.
Il sacrificio fu in seguito sostituito, per ciò che concerneva gli umani, da un rito simbolico per cui le vittime venivano uccise solo idealmente col loro allontanamento dalla collettività. Si attendeva che i bimbi raggiungessero l'età adulta e quindi iniziava la loro emigrazione. Queste genti, nel loro peregrinare alla ricerca di un nuova terra dove stabilirsi, avevano trovato una zona che, a detta dello storico e geografo latino Strabene, era ideale per l'aria salubre e le fonti e le sorgenti ricche di acque limpide e leggere. Erano giunti in questa parte d'Italia seguendo il corso del fiume Tronto, individuando il primo tracciato di quella che sarebbe divenuta la Via Salaria. A parlarci dei Piceni, della loro origine e dell'etimologia del loro nome sono tantissimi autori: Plinio, Pesto, Strabene, Silio Italico fino a giungere, nell'VIII secolo dopo Cristo, a Paolo Diacono. Secondo questi antichi storici, il nome di Piceni è legato al mito, ricordato anche da Tito Livio, secondo il quale alcuni di questi emigranti, verso il V secolo a.C, furono nel loro cammino guidati da un picchio, uccello sacro a Marte e ritenuto capace di poteri divinatori, che si era posato sulle loro insegne.
Il picchio, prima di essere un uccello, era Fico, re del Lazio, figlio del Dio Saturno e padre di Fauno che, a sua volta, generò il re Latino. La trasformazione di Fico, poeticamente descritta da Ovidio nelle Metamorfosi, era stata opera della maga Circe, indispettita perche il re aveva rifiutato il suo amore ed era rimasto fedele alla moglie, la ninfa Canente. Al di là del mito che, come tale, rappresenta la trasfigurazione poetica di remote realtà storiche e risponde a precise esigenze sociologiche non è casuale, infatti, il legame genealogico della stirpe regale con la divinità sappiamo che la civiltà picena si sviluppò a partire dall'età del bronzo, nel X secolo, e che, dall' VIII secolo, subì l'influenza della civiltà villanoviana. Dal VII secolo, fino al V, troviamo un'influenza greca, mentre risulta molto marginale quella etrusca. Tipicamente piceno era l'uso di seppellire i cadaveri con accanto il corredo funebre, mentre nella limitrofa civiltà villanoviana era praticata l'incinerazione.
I reperti piceni, assai diffusi nel territorio àcquavivano, sono oggi sparsi nei musei di Ancona e di Ascoli. La presenza, sul nostro colle, di un cospicuo insediamento già nel VI secolo a.C. è comprovata dal ritrovamento, in località Abbadetta e nella zona limitrofa, di una serie di buche per palificazione, una buca più ampia, nella quale era stato acceso del fuoco, e piani pavi mentali che documentano una attività lavorativa. Il ritrovamento sembra suggerire la presenza di forni per la produzione di terrecotte, peraltro copiose nei terreni circostanti l'Abbadetta. Il ritrovamento assume particolare significato in relazione alla sua connotazione civile, infatti tutti i resti piceni sono relativi ad insediamenti militari o a necropoli.
Il reperto più interessante tra quelli rinvenuti nel territorio acquavivano, e precisamente in contrada Fonte Mercato, era una stele in arenaria che, sfortunatamente è andata dispersa. Venuta alla luce nel 1847, attrasse subito l'interesse degli studiosi per l'iscrizione bustrofetica (così detta perché il senso della scrittura procede come i buoi quando arano, andando cioè da sinistra verso destra e poi tornando indietro da destra verso sinistra). Della stele rimangono testimonianze in numerosi testi. Gli studiosi sono giunti alla conclusione che l'iscrizione è in una lingua di tipo italico, affine all'antico umbro, un dialetto cioè paleosabellico o piceno. Anche se la traduzione è ancora controversa, l'ipotesi più accreditata è che si tratti di un ringraziamento a Giove per aver esaudito le preghiere di un fedele.
Col trascorrere dei secoli e il progredire dell'espansione romana, ritroviamo gli antichi abitanti del colle entrare in contatto con i nuovi conquistatori. I rapporti con Roma subirono fasi alterne, con i Piceni talora alleati talora nemici. Sebbene i Romani fossero riusciti a vincere i Piceni, in considerazione anche del loro coraggio e della loro indole indomita, preferirono stipulare con essi un trattato di pace. Ma la pace fu funestata, nel corso della guerra sociale, da reiterati episodi di guerra, fino alla completa sottomissione del Piceno che, tuttavia, ottenne la cittadinanza romana. Ormai la storia della zona, che sotto Ottaviano Augusto divenne la Quinta delle undici nelle quali era suddivisa l'Italia, era indissolubilmente legata a quella di Roma. Anche in epoca romana sul colle ci fu un insediamento, ma se ne ignora l'entità e l'eventuale nome, anche se alcuni reperti ce ne offrono testimonianza. Lo comprovano, infatti, alcune cisterne affioranti sul fiume Albula, avanzi di un acquedotto e le fondazioni in pozzolana di un tempio. Resti di capitelli, di colonne in travertino, punte di lancia in ferro, orci, pesi e frammenti di mosaico, testimoniano di quel passato romano.
Ma tra tutti questi resti il più interessante è la Lapide di Buxurio, conservata nel Museo Archeologico di Ripatransone. E' una iscrizione funeraria in onore di Buxurio che così può essere tradotta: "Paolo Buxurio, figlio di Paolo, di Truento, soprannominato Tracalo, architetto, Salute". Truentum, l'odierna San Benedetto del Tronto, era, infatti, una cospicua colonia romana, centro commerciale, militare e industriale, famosa per la produzione della porpora. E salutando Buxurio ci accomiatiamo anche dall'epoca romana che, nel bene e nel male, ha segnato la zona d'Acquaviva. Iniziava il periodo delle invasioni barbariche ed il Piceno subì, nel 208 d.C, la furia dei Visigoti di Alarico. Un'epoca finiva ma ne iniziava un'altra che, cancellando le insegne di Fico e quelle delle legioni, poneva a vessillo la Croce di Cristo.
Disclaimer . Privacy . P.IVA 02377840422 .