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Giacomo Leopardi

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Il ruolo avuto dai precettori non impedì comunque al giovane Leopardi di intraprendere un suo personale percorso di studi avvalendosi della biblioteca paterna molto fornita e di altre biblioteche recanatesi, come quella degli Antici, dei Roberti e probabilmente da quella di Giuseppe Antonio Vogel, esule in Italia in seguito alla Rivoluzione francese e giunto a Recanati tra il 1806 e il 1809 come membro onorario della cattedrale della cittadina. Nel 1809 il giovane Giacomo compone il sonetto intitolato "La morte di Ettore" che, come lui stesso scrive nell' "Indice delle produzioni di me Giacomo Leopardi dall'anno 1809 in poi", è da considerarsi la sua prima composizione poetica. Da questi anni ha inizio la produzione di tutti quegli scritti chiamati "puerili".

Nel 1810 iniziò lo studio della filosofia, e due anni dopo, come sintesi della sua formazione giovanile, scrisse le "Dissertazioni filosofiche", che riguardano argomenti di logica, filosofia, morale, fisica teorica e sperimentale (astronomia, gravitazione, idrodinamica, teoria dell'elettricità, eccetera). Nel 1812, con la presentazione pubblica del suo saggio di studi che discusse davanti a esaminatori di vari ordini religiosi e al vescovo, si può far concludere il periodo della sua prima formazione che è soprattutto di tipo sei-settecentesco ed evidenzia l'amore per l'erudizione e uno spiccato gusto arcadico.

La formazione personale

Cessata la formazione nel 1812 dell'abate Sanchini, Leopardi si immerse totalmente in uno studio "matto e disperatissimo", della durata di sette anni, che assorbì tutte le sue energie e che recò gravi danni alla sua salute. Senza l'aiuto di maestri apprese il greco e l'ebraico e compose opere di grande impegno ed erudizione. Risalgono a questi anni la "Storia dell'astronomia" del 1813, il "Saggio sopra gli errori popolari degli antichi" del 1815, diversi discorsi su scrittori classici, alcune traduzioni poetiche, dei versi e le due tragedie "La virtù indiana" e il "Pompeo in Egitto". Iniziò anche le prime pubblicazioni e lavorò alle traduzioni dal latino e dal greco dimostrando sempre di più il suo interesse per l'attività filologica.

Sono questi anche gli anni dedicati alle traduzioni dal latino e dal greco corredate di discorsi introduttivi e di note, tra i quali "Gli scherzi epigrammatici" tradotti dal greco del 1814 e pubblicati in occasione delle nozze Santacroce-Torre dalla Tipografia Frattini di Recanati nel 1816, la "Batracomiomachia" nel 1815 e pubblicata su "Lo Spettatore italiano" il 30 novembre 1816, gli idilli di Mosco, il "Saggio di traduzioni dell'Odissea", la "Traduzione del libro secondo dell'Eneide" e la "Titanomachia" di Esiodo, pubblicata su "Lo spettatore italiano" il 1° giugno 1817.

La conversione letteraria: dall'erudizione al bello

Tra il 1815 e il 1816 si avverte in Leopardi un forte cambiamento frutto di una profonda crisi spirituale che lo porterà ad abbandonare l'erudizione per dedicarsi alla poesia. Egli si rivolge pertanto ai classici, non più come ad arido materiale adatto a considerazioni filologiche ma come a modelli di poesia da studiare. Seguiranno le letture di autori moderni come l'Alfieri, il Patrini, il Foscolo e il Monti che servirono a maturare la sua sensibilità romantica. In questo modo il Leopardi iniziò a liberarsi dall'educazione paterna accademica e sterile, a rendersi conto della ristrettezza della cultura recanatese e a porre le basi per liberarsi dai condizionamenti familiari.Appartengono a questo periodo alcune poesie significative come le "Rimembranze", l'"Appressamento della morte" e l'Inno a Nettuno". Dopo il primo passo verso il distacco dall'ambiente giovanile e con la maturazione di una nuova ideologia e sensibilità che lo portò a scoprire il bello in senso non arcaico ma neoclassico, si annuncia nel 1817 quel passaggio dalla poesia di immaginazione degli antichi alla poesia sentimentale che il poeta definì l'unica ricca di riflessioni e convincimenti filosofici.

La teoria del piacere

La "teoria del piacere" è una concezione filosofica postulata da Leopardi nel corso della sua vita. La maggiore parte della teorizzazione di tale concezione è contenuta nello "Zibaldone", in cui il poeta cerca di esporre in modo organico la sua visione delle passioni umane. Il lavoro di sviluppo del pensiero leopardiano in questi termini avviene dal 12 al 25 luglio del 1820. La "teoria del piacere" sostiene che l'uomo nella sua vita tende sempre a ricercare un piacere infinito, come soddisfazione di un desiderio illimitato. Esso viene cercato soprattutto grazie alla facoltà immaginativa dell'uomo, che può concepire le cose che non sono reali. Poiché grazie alla facoltà immaginativa l'uomo può figurarsi piaceri inesistenti, e figurarseli come infiniti in numero, durata ed estensione, non bisogna stupirsi che la speranza sia il bene maggiore e che la felicità umana corrisponda all'immaginazione stessa.

La natura fornisce tale facoltà all'uomo come strumento per giungere non alla verità, ma ad un'illusoria felicità. Anche l'occupazione (che può essere considerata la soddisfazione continua degli svariati bisogni che la natura ha fornito agli uomini) è una condizione che porta felicità nella vita dell'uomo. Ad essa si oppone il tedio, la noia, che è il male più grande che possa affliggere l'umanità (vedi la canzone Ad Angelo Mai ed altri testi). La felicità, dunque, è più facilmente trovata dai fanciulli che riescono sempre ad immaginare e perdersi dietro ogni "bagattella", ovvero riescono a distrarsi con ogni sciocchezza. Secondo Leopardi, l'umanità poteva essere più vicina alla felicità nel mondo antico, quando la conoscenza scarsa lasciava libero corso all'immaginazione; nel mondo moderno, invece, la conquista del vero ha portato l'immaginazione ad indebolirsi, fino a sparire del tutto negli adulti.

I mutamenti profondi del 1817

Il 1817 fu per il Leopardi, che giunto alle soglie dei diciannove anni aveva avvertito in tutta la sua intensità il peso dei suoi mali e della condizione infelice che ne derivava, un anno decisivo che determinò nel suo animo profondi mutamenti. Consapevole ormai del suo desiderio di gloria e insofferente dell'angusto confine in cui fino a quel momento era stato costretto a vivere, sentì l'urgente desiderio di uscire, in qualche modo, dall'ambiente recanatese. Gli avvenimenti seguenti incideranno sulla sua vita e sulla sua attività intellettuale in modo determinante.In quell'anno egli scrisse al classicista e purista Pietro Giordani, che aveva letto la traduzione del Leopardi del II libro dell'Eneide e, avendo compreso la grandezza del giovane, lo aveva incoraggiato. Ebbe inizio così una fitta corrispondenza e un rapporto di amicizia che durerà nel tempo. Nell’estate 1817 fissa le prime osservazioni all’interno di un diario di pensiero che prenderà poi il nome di Zibaldone, in dicembre si innamorerà per la prima volta della cugina. Pietro Giordani riconosce l’abilità di scrittura di Leopardi e lo incita a dedicarsi alla scrittura, inoltre lo presenta all'ambiente del periodico “La Biblioteca italiana" e lo fa partecipare al dibattito culturale tra classici e romantici. Leopardi difende la cultura classica e ringrazia Dio di aver incontrato Giordani che reputa l’unica persona che riesce a comprenderlo. Nel luglio del 1817 il Leopardi iniziò a compilare lo Zibaldone, diario sul quale registrerà fino al 1832 le sue riflessioni, le note filologiche e gli spunti di opere, lesse la vita di Alfieri e compilò il sonetto "Letta la vita scritta da esso" che toccava i temi della gloria e della fama.

Alla fine del 1817 un altro avvenimento lo colpì profondamente: l'incontro, nel dicembre dello stesso anno, con Geltrude Cassi Lazzari, una cugina di Monaldo, che fu ospite presso la famiglia per alcuni giorni e per la quale provò un amore inespresso. Scrisse in questa occasione il "Diario del primo amore" e l' "Elegia I" che verrà in seguito inclusa nei "Canti" con il titolo "Il primo amore". Verso una posizione romantica Fra il 1816 e il 1818 la posizione di Leopardi verso il Romanticismo, che stava suscitando in quegli anni forti polemiche e aveva ispirato la pubblicazione del "Conciliatore", va maturando e se ne possono avvertire le tracce in numerosi passi dello Zibaldone e nei due saggi, la "Lettera ai Sigg. compilatori della "Biblioteca italiana"" scritta nel 1816 in risposta a quella di Madama la baronessa di Staël e il "Discorso di un italiano attorno alla poesia romantica", scritto in risposta alle "Osservazioni" di Di Breme sul Giaurro di Byron. Aveva intanto scritto le due canzoni ispirate a motivi patriottici "All'Italia" e "Sopra il monumento di Dante" che stanno ad attestare il suo spirito liberale e la sua adesione a quel tipo di letteratura di impegno civile che aveva appreso dal Giordani.

La prima fase dell'ideologia leopardiana  

Nel 1819 una malattia agli occhi, che lo privò persino del conforto dello studio, lo gettò in una profonda prostrazione che acuì la sua insofferenza per la vita recanatese. Tra il luglio e l'agosto progettò la fuga e cercò di procurarsi un passaporto per il Lombardo-Veneto, da un amico di famiglia, il conte Saverio Broglio d'Ajano, ma il padre lo venne a sapere e il progetto di fuga fallì. Fu appunto nei mesi che seguirono che il Leopardi elaborò le prime basi della sua filosofia e riflettendo sulla vanità delle speranze e l'ineluttabilità del dolore, scoprì la nullità delle cose e del dolore stesso. Iniziò intanto la composizione di quei canti che verranno in seguito pubblicati con il titolo di "Idilli" e scrisse "L'infinito", "La sera del dì di festa" e "Alla luna". Nell'autunno del 1822 ottenne dai genitori di recarsi a Roma, dove rimase dal novembre all'aprile dell'anno successivo, ospite dello zio materno, Carlo Antici.

A Leopardi Roma apparve squallida e modesta al confronto con l'immagine idealizzata che egli si era figurata fantasticando sulle "sudate carte" dei classici. Rimase invece entusiasta della tomba di Torquato Tasso, al quale si sentiva accomunato dall'innata infelicità. Nell'ambiente culturale romano Leopardi visse isolato e frequentò solamente studiosi stranieri, tra cui i filologi Christian Bunsen e Barthold Niebuhr; quest'ultimo si interessò per farlo entrare nella carriera dell'amministrazione pontificia, ma Leopardi rifiutò. Nell'aprile del 1823 Leopardi ritornò a Recanati dopo aver constatato che il mondo al di fuori di esso non era quello sperato. Tornato a Recanati il Leopardi si dedicò alle canzoni di contenuto filosofico o dottrinale e tra il gennaio e il novembre del 1824 compose buona parte delle Opere Morali.  

Lontano da Recanati: Milano, Bologna, Firenze, Pisa

Nel 1825 il poeta, invitato dall'editore Antonio Fortunato Stella si recò a Milano con l'incarico di dirigere l'edizione completa delle opere di Cicerone e altre edizioni di classici latini e italiani. A Milano però egli non rimase a lungo perché il clima gli era dannoso alla salute e l'ambiente culturale, troppo polarizzato intorno al Monti, gli recava noia. Decise così di trasferirsi a Bologna dove visse, tranne una breve permanenza a Recanati nell'inverno del 1827, sino al giugno di quello stesso anno mantenendosi con l'assegno mensile dello Stella e dando lezioni private.
Nell'ambiente bolognese il Leopardi conobbe il conte Carlo Pepoli, patriota e letterato al quale dedicò un'epistola in versi intitolata "Al conte Carlo Pepoli" che lesse il 28 marzo 1826 nell'Accademia dei Felsinei. Nell'autunno iniziò a compilare, per ordine di Stella, una "Crestomazia", antologia di prosatori italiani dal Trecento al Settecento che venne pubblicata nel 1827 alla quale fece seguito, l'anno successivo, una "Crestomazia" poetica.

A Bologna conobbe anche la contessa Teresa Carniani Malvezzi, della quale si innamorò senza essere corrisposto. Uscivano intanto presso Stella le sue Operette morali. Nel giugno dello stesso anno si trasferì a Firenze dove conobbe il gruppo di letterati appartenenti al circolo Viesseux tra i quali Gino Capponi, Giovanni Battista Niccolini, Pietro Colletta, Niccolò Tommaseo ed anche il Manzoni che si trovava a Firenze per rivedere dal punto di vista linguistico i suoi Promessi Sposi. Nel novembre del 1827 si recò a Pisa dove rimase fino alla metà del 1828. A Pisa, grazie all'inverno mite, la sua salute migliorò e il Leopardi tornò alla poesia, che taceva dal 1823, e compose la canzonetta in strofe metastasiane il "Risorgimento" e il canto "A Silvia" inaugurando il periodo creativo detto dei Canti "pisano-recanatesi", chiamati anche "grandi idilli", all'interno del quale il poeta sperimenta la cosiddetta canzone libera o canzone leopardiana.

Il ritorno a Recanati

Purtroppo il periodo di benessere era finito e il poeta, colpito nuovamente dalle sofferenze e dall'aggravarsi del disturbo agli occhi, fu costretto a sciogliere il contratto con Stella e durante l'estate del '28 si recò a Firenze nella speranza di trovare un modo per poter vivere in modo indipendente. Ma le sue condizioni di salute non glielo permisero ed egli fu costretto a ritornare a Recanati dove rimase fino al 1830. In questi due anni il Leopardi si dedicò alla poesia e scrisse alcune delle sue liriche più importanti, tra cui "Le ricordanze", "Il sabato del villaggio", "La quite dopo la tempesta", "Il passero solitario", "Canto notturno di un pastore errante dell'Asia". Queste poesie, a lungo denominate dai critici "Grandi idilli", sono ora conosciute, insieme ad "A Silvia" come "Canti pisano-recanatesi".

Intanto, nell'aprile del 1830, il Colletta, al quale il poeta scriveva della sua vita infelice, gli offrì, grazie ad una sottoscrizione degli "amici di Toscana", l'opportunità di tornare a Firenze. Qui curò, nel 1831, un'edizione dei "Canti", partecipò ai convegni dei liberali fiorentini e strinse un'affettuosa amicizia col giovane esule napoletano Antonio Ranieri. Risale a questo periodo la forte passione amorosa per Fanny Targioni Tozzetti, conclusasi in una delusione, che gli ispirò il cosiddetto "ciclo di Aspasia", una raccolta di poesie scritte tra il 1830 e il 1835 che contiene: "Il pensiero dominante", "Amore e morte", "A se stesso", "Consalvo" e "Aspasia". Nell'autunno del 1831si recò a Roma con Ranieri per ritornare a Firenze nel 1832 e nel corso di questo anno scrisse i due ultimi dialoghi delle "Operette", Il "Dialogo di un venditore d'almanacchi e di un passeggiere" e il "Dialogo di Tristano e di un amico".

A Napoli: la morte

Nel settembre del 1833, dopo aver ottenuto un modesto assegno dalla famiglia, partì per Napoli con l'amico Ranieri sperando che il clima mite di quella città potesse giovare alla sua salute. Durante gli anni trascorsi a Napoli si dedicò alla stesura dei "Pensieri" che raccolse probabilmente tra il 1831 e il 1835 e riprese i "Paralipomeni della Batracomiomachia" che, iniziati nel 1831, aveva interrotto. A quest'ultima opera lavorò, assistito dal Ranieri, fino agli ultimi giorni di vita.
Nel 1836, quando a Napoli scoppiò l'epidemia di colera, il Leopardi si recò con l'amico Ranieri e sua sorella Paolina nella Villa Ferrigni a Torre del Greco, dove rimase dall'estate di quell'anno all'inverno del 1837. In questo luogo egli compose gli ultimi Canti "La ginestra o il fiore del deserto" (nel quale si coglie l'invocazione ad una fraterna solidarietà contro l'oppressione della natura) e "Il tramonto della luna" (compiuto solo poche ore prima di morire).

Nel febbraio del '37 ritornò a Napoli con il Ranieri, ma le sue condizioni si aggravarono e il 14 giugno di quell'anno morì. Grazie ad Antonio Ranieri, che fece interessare della questione addirittura il Ministro di Polizia, le sue spoglie non furono gettate in una fossa comune - come le severe norme igieniche richiedevano a causa del colera che colpiva ancora la città - ma inumate nell'atrio della chiesa di San Vitale, sulla via di Pozzuoli presso Fuorigrotta. Nel 1939 la sua tomba, spostata al Parco Vergiliano a Piedigrotta (altrimenti detto Parco della tomba di Virgilio) nel quartiere Mergellina, fu dichiarata monumento nazionale.

 

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