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Beniamino Gigli

informazioni

www.comune.recanati.mc.it

 

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Beniamino Gigli nacque a Recanati il 20 marzo 1890. Figlio di un calzolaio che faceva anche il campanaro del Duomo, Gigli mostrò subito grandi attitudini per il canto e fu accolto nel Coro dei Pueri Cantores della Cattedrale. Fino ai 17 anni fece vari mestieri per vivere. Cominciò a studiare il canto con il maestro Quirino Lazzarini, organista e direttore del Coro della Santa Casa di Loreto, dopodiché, vincendo nel 1911 un concorso per una borsa, si poté iscrivere a Roma al Liceo musicale di Santa Cecilia sotto la guida di Enrico Rosati. Gigli fece il suo debutto nel ruolo di Enzo nella Gioconda di Amilcare Ponchielli al Teatro Sociale di Rovigo il 15 ottobre 1914, dopo aver vinto un altro concorso di canto a Parma. Da lì la carriera di Beniamino Gigli fu tutta in ascesa, portandolo ad interpretare pressoché tutti i principali ruoli tenorili dell'opera.

Nel novembre del 1918 cantò al Teatro alla Scala di Milano in Mefistore di Arrigo Boito, sotto la direzione musicale di Arturo Toscanini. Il 26 novembre 1920 esordì al Teatro Metropolitan di New York, di nuovo nel Mefistofele. Seguirà Andrea Chènier di Umberto Giordano, che canterà per 11 stagioni consecutive, il Rodolfo della Bohème di Giacomo Puccini, L'elisir d'amore di Gaetano Donizzetti e altri successi. Rimase incontrastato protagonista al Metropolitan per 12 anni, succedendo come rappresentante della tradizione italiana al mitico Caruso. Nel 1932 tornò a Roma per cantare all'Opera, alla quale dedicherà gran parte della propria attività italiana. Dopo la guerra riprese la sua attività internazionale fino al 1955. Girò 16 film, con Aida Valli, Isa Miranda, Maria Cebotari e altre interpreti famose. Fu anche uno dei più mirabili interpreti della canzone napoletana, avvalendosi per questo tipo di musica della collaborazione del maestro Ernesto de Curtis.

Si ricorda la sua partecipazione al film Carosello napoletano di Ettore Giannini (1953) dove canta splendidamente "O sole mio", "Funiculi' funicula'", "Voce 'e notte" e "Marechiare". Nel 1955 diede la tournée di addio nordamericana, inclusi tre concerti (aprile) a Carnegie Hall (da cui brani sono stati pubblicati in LP). L'ultimo concerto assoluto ebbe luogo il 25 maggio 1955, alla Constitution Hall di Washington. Poco dopo mezzogiorno, del 30 novembre 1957 muore a Roma, nella sua villa in via Serchio, stroncato da un attacco di broncopolmonite, aveva 67 anni. Il male ebbe ragione del suo fisico in soli due giorni. Già in precedenza era stato colpito da una miocardite e questa si era aggravata negli ultimi tempi, a causa dell' indebolimento dell'organismo, sopravvenuto durante le sue tournée faticose attraverso l'Europa, gli Usa, il Canada.

La piazza antistante il Teatro dell'Opera di Roma è intitolata al suo nome. All'indomani della sua morte, il noto critico Eugenio Gara, di solito molto misurato nei giudizi, ebbe a scrivere: "Una voce stupenda, uno smalto d'oro bianco - di platino, quasi - distesa con lo stesso spessore su una gamma di almeno 14 note tra il Re sotto il rigo e il Do acuto; senza incrinature, senza macchia. Larga, sostanziosa in ogni suono, flessibile, carezzevole e grata negli accenti anche più risoluti...". E, ai giorni nostri, gli fa eco un commento straordinario di Paolo Isotta, musicologo e critico di lirica del Corriere della Sera. Egli scrive: "Onore a Gigli, altissimo tenore, una voce luminosa, una tecnica straordinaria. Una figura del tutto eccezionale della quale si parla e si scrive troppo poco. Eppure si tratta, insieme con Caruso, forse persino al di sopra di lui, del più grande tenore di questo secolo. Quando si ciancia sui meriti (veri o presunti) dei divi attuali, Gigli andrebbe tenuto come termine di paragone; in molti casi, come il metro stesso al quale giudicare tutti gli altri...". Ed altri insigni critici ed esperti musicali si adeguano allo stesso giudizio.

Amava cantare ed il suo dono naturale fu il suo orgoglio. Non era cantante intellettuale, ma il suo timbro argentato di tenore lirico puro e la sua capacità di creare con esso un'infinita gamma di tinte e mezzetinte, di sfumature delicatissime, misero nell'ombra alcune critiche contrastanti che parlano di edonismo vocale e di mancanza di grazia sulle scene. Il più grande cittadino di questa nostra terre fortunata, Giacomo Leopardi, entusiasta di Gioacchino Rossini, giudicato da alcuni critici suoi contemporanei “scorretto e demagogo”, dice: “Ciò che piace alla gente spesso non piace agli intenditori, ma ha sempre ragione il popolo!”. E Fedele D’Amico, nelle suggestioni del canto di Gigli, non poté fare a meno di stabilire un’ideale parallelismo con il grande poeta: “Forse il caso che il fraseggio di Gigli attinga alle suggestioni delle notti lunari e silenziose delle colline marchigiane. La sua capacità di definire immediatamente il senso della melodia al suo esordio, alla prima battuta, richiama subito alla mente ed è proprio come dire: “Dolce e chiara è la notte e senza vento”.

Il Parlamento italiano, alla sua morte, lo commemorò nella seduta del 3 dicembre 1957. Il discorso ufficiale fu tenuto dall’On. Tozzi Condivi e a lui si associarono tutti i gruppi politici. Per il Governo prese brevemente la parola l’On. Oscar Luigi Scalfaro: “Se l’arte è sempre una particolare elevazione dell’animo umano verso l’alto, del credente verso Dio, nel caso di Beniamino Gigli essa pare tradursi nella interpretazione più viva dei sentimenti del popolo, in uno spirito di ambasciata nei confronti di altre nazioni; pare che diventi preghiera al cospetto di Dio e che sia un’ atto di umanità, un’ atto di bontà nei confronti dei sofferenti… Forse questa morte di una persona che per tutta la vita ha elevato le lodi che Dio gli aveva dato in un atto di amore verso gli altri, insegna che tutto ciò che ciascuno ha di buono deve essere usato soprattutto per aumentare il bene a vantaggio degli altri”.

 

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