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informazioni
www.morroelacrima.it
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A10 km dal mare, sulla prima linea di colline tra Senigallia e Jesi, Morrò d'Alba domina dalle sue mura la campagna circostante. Alcuni ritrovamenti testimoniano la presenza di antichi insediamenti in località Sant'Amico, presso la sorgente detta Fonte dei Re, dove sono stati scoperti i resti di due ville romane e dove venne rinvenuto in una tomba un prezioso medaglione aureo, ora nel Museo delle Terme di Roma, raffigurante Teodorico. Alcune tracce nei nomi dei dintorni attestano il passaggio in questa zona dei Longobardi. La grande importanza strategica della sua posizione determinò per molti secoli la storia di Morrò d'Alba, oggetto di contesa tra città rivali. Il nome Morro deriva da un antico termine riferito alla posizione collinare del luogo, confine naturale tra i comitati medievali di Senigallia e Jesi, e appare per la prima volta in un atto imperiale di Federico I del 1177 che la definisce "curtis", un termine che indica una semplice unità amministrativa; la località è poi definita "villa" in un documento del 1197, e "castrum", centro fortificato, nel 1213, quando Senigallia è costretta a cederla a Jesi. Nel 1326 è assediata dalle milizie di Fabriano, e nel 1365 il castello deve essere ricostruito, forse per i danni subiti nel corso delle incursioni dei banditi della "Compagnia Maledicta" di Fra Mortale.
Per brevi periodi passa sotto il controllo dei Malatesta di Rimini, desiderosi di ampliare i propri domini; subisce incursioni degli Anconetani nel 1481 e negli anni successivi; nel 1517 è saccheggiata da Francesco Maria della Rovere. Con il Regno Napoleonico (1808) è definitivamente sottratta a Jesi, e nel 1860 entra a far parte della provincia di Ancona con l'Unità d'Italia. Nel 1862 al nome venne aggiunto il termine Alba, per evitare confusioni con altre località del Regno. Le mura di Morrò d'Alba vigilano sulpanorama dolce della campagna marchigiana, segnata da poderi e alture coronate da caratteristici borghi. A dispetto delle sue dimensioni, Morrò vanta alcuni primati invidiabili, come il fatto di essere l'unico borgo fortificato in Italia le cui mura siano percorse per tutta la lunghezza da un cammino di ronda coperto e munito di arcate, la famosa “Scarpa”. A Morro è stato ritrovato il prezioso medaglione aureo, ora a Roma, che riporta la sola immagine su conio conosciuta dell'Imperatore Teodorico, e da qui proviene anche la rara bombarda del XIV secolo ora a Torino. E qui è nato Enzo Cucchi, pittore di fama internazionale. Ma soprattutto Morrò d'Alba è incantevole per la pace e l'armonia del paesaggio e del borgo, luogo ideale per chi desidera incontrare natura e storia, arte e cultura.
PALAZZO COMUNALE
II Palazzo Comunale venne costruito tra il 1763 e il 1775. Nei locali della residenza comunale sono conservate varie opere, tra cui una pala d'altare di Claudio Ridolfi (1570 ca -1644), pittore di origine veneta, ma attivo soprattutto nelle Marche, raffigurante "L'incoronazione della Vergine e Santi" e una tela del XVII secolo raffigurante San Michele Arcangelo, un tempo collocate all'interno di chiese locali.
All'interno del Palazzo Comunale e' stato realizzato anche l'Archivio Fotografico Storico della Città di Morro d'Alba.
L'Amministrazione comunale ha voluto attuare un lavoro di catalogazione e schedatura di tutto il materiale fotografico in suo possesso raccolto lungo quasi un secolo. Un intervento che ha portato alla luce pregevoli esemplari storici e più spesso stampe che raccontano la vita di una piccola realtà provinciale marchigiana - come vorremmo che mai si perdesse questa caratteristica così preziosa! - attraverso fotografie che ritraggono il lavoro dei campi, le feste locali, le celebrazioni di matrimoni, le processioni, ed anche i ritratti di quei personaggi che nemmeno dopo generazioni sono state dimenticate dai giovani attraverso i preziosi racconti dei più anziani. La collezione è stata poi incrementata nel tempo con l’acquisizione di un lavoro sul paese eseguito da un gruppo di amatori appartenenti al gruppo fotografico Manifattura Tabacchi di Chiaravalle, e con la stampa di fotografie provenienti dall’archivio fotografico di Alvaro Stoppani, un morrese che della fotografia ne ha fatta una professione/passione lungo tutta la sua vita con grande bravura a partire dagli anni ‘30.
Il lavoro di riordino, svolto da Simona Guerra, archivista fotografica anch’essa marchigiana che da anni è impegnata in questo ambito professionale presso archivi italiani - primo fra tutti l’Archivio Fratelli Alinari di Firenze e l’Archivio Fotografico di Parto - ha preso in esame più di 3000 fotografie e copre un periodo storico che va dall’inizio del 1920 fino ai giorni nostri. Significativa è anche la varietà di tecniche con cui sono realizzate le fotografie, che vanno dalle più antiche stampe all’albumina fino agli attuali file digitali JPG prodotti dagli apparecchi odierni.
Il Sindaco di Morro, Simone Spadoni - Le motivazioni di questo importante lavoro storico sulla città:
“La storia di ognuno di noi è fatta di ricordi che a volte, con il passare degli anni corrono il rischio di sbiadirsi. La presenza di qualsiasi cosa capace di tenere saldo o rafforzare quel ricordo è fonte di sicurezza, e niente può farlo meglio di una fotografia. Questa, oltre a darci l’immagine di un momento di vita passato, ci stimola, piacevolmente, ad ampliare un indotto di ricordi legati ad amicizie, profumi, colori, momenti di gioia e momenti tristi. Nel caso dell’archivio fotografico di Morro d’Alba, abbiamo ritenuto importante fare questo lavoro perchè oltre a quanto detto, si ha la possibilità, con questo patrimonio, di conoscere meglio l’evoluzione di un paese sotto molteplici aspetti lasciando ai posteri un ricordo in più.” Consultare anche il sito www.morroelacrima.it
Scarica la slideshow fotografica dell'archivio storico (circa 70 MB)
LUOGHI DI CULTO
Chiesa S.S. Annunziata e Auditorium
Della Chiesa della SS. Annunziata, edificata all’esterno della cinta muraria, non si conosce la data esatta della sua edificazione, ma era sicuramente ultimata il 4 maggio 1670 quando vi venne celebrata la prima messa. Nell’ultimo periodo è stata meglio conosciuta come Chiesa di “Santa Teleucania” dopo che, dal 1836, come ricorda la lapide presente a destra dell’altare, custodì il corpo della Santa che divenne oggetto di culto e che veniva esposto ai fedeli solo in occasione della sua festa (4 settembre). Scemato il fervore mistico, praticamente inutilizzata e caduta ormai in degrado, nel 1997, il Comune, proprietario dell’immobile, dopo la sconsacrazione ha inteso promuovere il riuso del complesso, finalizzandolo ad un utilizzo socio-culturale per convegni, concerti e mostre. In particolare, l’ambiente in precedenza dedicato al culto è stato adibito ad Auditorium-Sala Congressi, mentre i locali sottostanti sono stati allestiti come Centro Espositivo. Al suo interno è esposta la pala, a suo tempo posizionata sopra il bell’altare ligneo, raffigurante l’“Annunciazione” con San Giuseppe e Sant’Antonio da Padova (sec. XVIII) e altre due tele: “Visitazione” (sec. XVII) e “San Giovanni Battista e Sant’Antonio” (sec. XVIII), tutte opere di autori ignoti.
Chiesa del Santissimo Sacramento e l'Omonima Confraternita
All’interno del tessuto edilizio storico di Morro d’Alba, posta quasi all’inizio del borgo in direzione di Jesi, sorge la piccola chiesa costruita, nella prima metà del 1600, dalla Confraternita del SS. Sacramento che da essa prende il nome. Tale Confraternita, già istituita presso l’altare maggiore della Chiesa parrocchiale di San Gaudenzio, per una maggiore autonomia nella gestione delle assemblee degli iscritti, secondo una tradizione medioevale, aveva chiesto più volte l’autorizzazione al Consiglio Comunale di erigere una propria chiesa, cosa che avvenne solo nel 1614. Secondo l’inventario diocesano del 1873, la storia della Confraternita risale al 1450 e risulta si sia aggregata all’Arciconfraternita del SS. Sacramento della chiesa di Santa Maria sopra Minerva in Roma nel 1632. Presente ed attiva sul territorio fino alla fine degli anni ‘80, ha ripreso vita e vigore all’inizio del 2005 quando si è svolta la “Cerimonia di Vestizione” dei nuovi confratelli. Ritornando alla Chiesa, al di sopra dell’altare ligneo si trova una tela dell’ “Ultima Cena” realizzata ad olio, collocabile nella seconda metà del XVII secolo e da attribuirsi ad un mediocre artista locale che copia fedelmente, nella redazione iconografica, la tela dell’ “Ultima Cena” di Felice Pellegrini, conservata nella chiesa Collegiata di Santo Stefano a Castelfidardo. E’ presente anche una scultura, un plastico del sacello lauretano in legno dipinto, risalente al secolo XVIII. La “Santa Casa” ha forma rettangolare, con due aperture sul lato lungo e un tetto a spioventi con un campanile; le pareti hanno mattoni a vista e gli spigoli presentano elementi bugnati. Sul tetto siedono la Madonna e Gesù Bambino che benedice. La scultura morrese settecentesca risponde a quella tipologia determinata dalla presenza della Madonna e Bambino seduti sul tetto della sacra casetta della Vergine, detta popolarmente “Madonna del Tettarello”.
Chiesa San Benedetto
Nel 1487 il Capitolo di S. Giovanni in Laterano autorizzò l’autorità comunale di Morro e la Confraternita di S. Benedetto a costruire una chiesa o una cappella su un’area di sua proprietà, lungo il borgo, poco lontano dal castello. Nel 1512 era già edificata e, per quella concessione, ancora oggi riporta, sulla facciata, lo stemma del Capitolo stesso, unico elemento superstite della primigenia struttura architettonica. Nel luogo di sepoltura annesso, dal 1573 vi furono seppelliti i forestieri morti nel territorio del castello e, tra il 1608 e il 1627, la chiesa ha fatto parte di un piccolo convento francescano insediatosi in loco. Da chiesa della Confraternita, dopo varie ristrutturazioni, è diventata sede parrocchiale nel 1884 quando vi vennero trasferiti i diritti della Chiesa di Santa Maria del Fiore. L’edificio presenta una facciata con elementi decorativi in pietra bianca risalente alla ristrutturazione di fine ’800 ed un interno a pianta basilicata con navata unica detta “ad aula”. La soffittatura, l’arco tra navata e presbiterio e la volta del presbiterio stesso, sono stati affrescati, alla fine degli anni 40 del XX secolo, dai Pittori di Ostra Marcantonio Bedini e dal giovane Tarcisio, suo figlio. Accoglie nelle pareti lunghe due interessanti e pregevoli mostre d’altare lignee, due “ancone” di fine XVI secolo, opere di artigiani locali esperti nel lavoro d’intaglio. Quella della parete di destra racchiude un dipinto del 1595 del pittore Ercole Ramazzani di Arcevia, già allievo di Lorenzo Lotto, raffigurante l’“Immacolata Concezione” affiancata da due schiere di angeli, fra San Michele Arcangelo e San Benedetto. Nella parete contrapposta, un dipinto della prima metà del XVII secolo raffigura la “Madonna di Loreto”, al centro fra Santa Teresa, Santa Chiara, San Francesco e Sant’Antonio. Nel presbiterio, in una nicchia sopra l’altare, un trono ligneo dorato di fine XIX secolo con un piccolo dipinto su tela raffigurante la “Madonna del Consiglio”.
Chiesa di San Gaudenzio
La chiesa principale, che reca la data 1763 iscritta sul portale, sorge quasi a ridosso delle mura castellane ed è lambita dal camminamento detto “la Scarpa”. Il grande edificio è l’elemento architettonico più importante del nucleo fortificato: un bell’esempio di architettura religiosa marchigiana della seconda metà del Settecento e definisce in modo significativo, contrapposta al Palazzo Comunale, la piazza interna del castello. L’interno è a croce latina con un’unica navata, nel transetto e nelle cappelle laterali si trovano altari tutti diversi, riccamente decorati con colonne, stucchi, pitture e statue; nell’abside, in una nicchia coronata da stucchi e dorature, trova posto un trono ligneo dorato con l’immagine della “Madonna del Soccorso” (inizio XVIII sec.). Sotto lo stesso altare è stata collocata, nel 1985 (dopo la ristrutturazione della chiesa della SS. Annunziata, dove era custodita), l’urna (sec. XIX) contenente il corpo di “Santa Teleucania”, l’epigrafe tombale in marmo e il paliotto che nascondeva il corpo nell’altare della chiesa precedente. Altre opere presenti: “San Gaudenzio” e “Ultima Cena”, due quadri di ignoti artisti locali (sec. XVIII) e due tele del già citato S. Galimberti: un “Sacro Cuore di Gesù” (1918) e una “Immacolata Concezione” (1922 circa) fra San Gabriele dell’Addolorata, San Luigi Gonzaga e San Tarcisio. Presso il Fonte Battesimale: “Battesimo di Gesù” (1940), copia della celebre opera di Andrea “Verrocchio” con la collaborazione di suoi allievi, fra cui Leonardo da Vinci, eseguita da Ciro Pavisa da Mombaroccio.
Chiesa di Sant'Amico e la Confraternita del Buon Gesù
Per comodità del popolo della contrada omonima, secondo una lapide che era posta all’ingresso, nell’aprile del 1587 venne costruita la chiesa di Sant’Amico che è dedicata ai Santi Simone e Giuda. Nei secoli XV, XVI e XVII la contrada era riportata nei catasti e in vari documenti con la dizione San Manico o San Menico; solo nel corso del XVIII secolo compare la dizione attuale. La chiesa sarebbe stata costruita sul luogo di una preesistente dedicata a San Domenico, da cui deriverebbe la storpiatura popolare di San Menico. Questa piccola chiesa rurale forma un unico corpo edilizio con una contigua abitazione posta sul lato sinistro. Il complesso è stato restaurato alla fine degli anni ‘80; la Sovrintendenza ai Beni Culturali aveva espresso parere favorevole ai lavori purché fosse mantenuto il carattere originale della costruzione, ritenuto “edificio storico monumentale”. Presso la chiesa dei Santi Simone e Giuda di Sant’Amico ha sede la Confraternita del Buon Gesù. Non esiste una data certa della sua istituzione, ma la tenuta dei libri inizia dal 1588, un anno dopo la costruzione della chiesa. Il 1° maggio 1608 fu aggregata all’Arciconfraternita del Buon Gesù della chiesa di Santa Maria sopra Minerva in Roma. Essa è stata presente ed operante sul territorio fino agli anni ‘60. Dopo un lungo periodo di inattività ha ripreso vita nel 1978 ma è rimasta inoperosa fino ad oggi quando, con un nuovo spirito vitale espresso dalla presenza di alcuni giovani, nel 2005 si è svolta la “Cerimonia di Vestizione” dei nuovi confratelli.
Chiesa di S. Maria del Fiore
L'esistenza di una chiesa di Santa Maria è attestata nel 1290, ma un secolo dopo l’edificio è ormai molto deteriorato e viene demolito. In seguito a ciò il 29 marzo 1512 il pievano di San Gaudenzio affida l’incarico di ricostruire la chiesa sul luogo del precedente edificio, dove sorge tutt’oggi. La sede parrocchiale in Santa Maria del Fiore cessa però di esistere nel 1884, quando viene trasferita nella chiesa di San Benedetto, sempre a Morro d’Alba. La medievale intitolazione a Santa Maria di Marciano muta, dopo la riedificazione, in quella di Santa Maria del Fiore di Marciano, perché l’unico altare, chiaramente intitolato alla Vergine, viene decorato con un affresco della Madonna gestante che tiene in mano una rosa: una raffigurazione poco diffusa e ben presto abbandonata, perché ritenuta non adatta a rappresentare il ruolo mistico di Maria. L’attuale edificio si presenta in forme semplici che, ad un esame superficiale, non rispecchiano le numerose trasformazioni subite nel corso dei secoli. Numerosi saggi, effettuati durante un intervento di restauro e consolidamento strutturale iniziati nel 2001 da parte della Sovrintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici, hanno evidenziato una ricchezza inaspettata nell’ambito decorativo dell’edificio. Nel saggio di sinistra appare la raffigurazione della Vergine con calice nella mano sinistra e con lunga croce nella mano destra oltre al basamento di un vaso da cui fuoriescono elementi floreali. A destra, invece, è rappresentata la Vergine con Bambino, di seguito l’immagine di una Santa orante e, infine, si notano decorazioni vegetali floreali. Tali affreschi risultano essere stati realizzati con tecnica mista, in parte a mezzo fresco e con stesure di tempera a secco, e si possono porre cronologicamente tra la fine del XVII secolo e l’inizio del XVIII secolo.
ALTRI LUOGHI DI INTERESSE STORICO CULTURALE DA VISITARE
Museo della Cultura Mezzadrile e della Utensilia
Il Museo Utensilia è una raccolta ragionata e documentata della vita e dei mezzi produttivi dei mezzadri marchigiani che, per anni, sono stati il fondamento di una società rigidamente autarchica, quasi "un'industria domestica", capace di provvedere al proprio fabbisogno giornaliero tramite un'integrazione seminaturale con l'ambiente circostante. L'esposizione presenta una nutrita selezione degli utensili creati dalle stesse mani dei contadini per il lavoro nei campi, la casa, e gli animali, attraverso otto sale tematiche che nel loro dipanarsi narrano e definiscono materie prime, tecniche di costruzione, lavorazioni e manufatti tipici della cultura mezzadrile. Ulteriori Approfondimenti Pagina Musei....
Mostra Fotografica Permanente "Mario Giacomelli"
Il paesaggio della campagna marchigiana è il frutto di un intenso intervento sulla natura da parte della mano dell'uomo, che ne ha definito le caratteristiche peculiari, rendendolo riconoscibile e suggestivo, ma che continua incessantemente a modificarlo.
Con le sue linee ordinate, i suoi profili ondulati, esso ha sempre esercitato una potente influenza sull'opera degli artisti, che ne sono stati attratti ed affascinati. Tra questi, Mario Giacomelli, fotografo marchigiano di fama mondiale, che è giunto a reinventare il paesaggio agricolo, facendolo divenire elemento "astratto", pretesto per esprimere stati d'animo, impressioni, punti di vista estetici. A Morro d'Alba Giacomelli si è recato - oltre che per riprendere il paesaggio - per mettere a fuoco chi, attraverso tradizioni popolari antiche, quella terra la abita, la vive intensamente in ogni stagione dell’anno; in primavera infatti, in questo piccolo borgo, si svolge ogni anno una festa di antica tradizione, il "Cantamaggio", una manifestazione molto sentita che anima il paese con musica e baldoria. Ulteriori Apprfondimenti Pagina Musei....
PRODOTTO TIPICO LOCALE - Il Lacrima un Vino D.O.C
Cenni Storici
Il vino "Lacrima di Morro d'Alba", riconosciuto a denominazione di origine controllata nel 1985, è conosciuto sin dai tempi remoti. Sembra se ne parli in alcuni scritti risalenti all'epoca dell'antica Roma. Narra la leggenda che nel 1167 Federico Barbarossa lo poté apprezzare allorché , posto l'assedio alla città di Ancona, scelse come propria dimora il Castello di Morro d'Alba.
Zona di Produzione
Ricade nella Provincia di Ancona e comprende l'intero territorio comunale di Morro d'Alba, Monte San Vito, San Marcello, Belvedere Ostrense, Ostra e Senigallia, con l'esclusione dei fondi valle e dei versanti delle colline del Comune di Senigallia prospicenti il mare. Le superfici certificate a DOC sono passate dai 7 ha. nell'anno di concessione della denominazione agli attuali 206 (dato 2005).
Vitigno
Questo vino si ottiene da un vitigno autoctono antico, il Lacrima, che veniva tradizionalmente maritato all'olmo e all'acero e si coltivava nelle ricche alberate che caratterizzavano le colline del territorio di produzione. Soltanto agli inizi degli anni ottanta alcuni produttori, convinti dell'opportunità di far conoscere il prodotto e di valorizzarlo, sostenuti dalla pubblica amministrazione, sono riusciti a ridare nuovo lustro a questo vitigno. Il nome Lacrima deriva dal fatto che la buccia dell'uva, quando arriva al punto di maturazione, si fende, lasciando gocciolare, lacrimare, il succo contenuto. La buccia dell'uva Lacrima ha tuttavia uno spessore notevole, il che, in fase di macerazione, fa sì che la cessione di antociani, tannini e sostanze coloranti, sia enorme. Il vitigno lacrima, in misura non inferiore all'85%, viene vinificato in presenza oppure con l'aggiunta di uve prodotte da altri vitigni a bacca nera, non aromatizzati, idonei alla coltivazione nella regione Marche, fino ad un massimo del 15% del totale.
Il vitigno Lacrima è estremamente versatile: si adatta bene alla vinificazione classica per la produzione di normali vini da pasto, va benissimo in macerazione carbonica per ottenere un novello con fragranze sopra la media ed è stupendo per la vinificazione in passito.
Caratteristiche Organolettiche
Produzione
Vengono prodotti tre tipologie di vino:
Accostamenti Gastronomici Consigliati
Vino che si sposa con i primi piatti tradizionali della Regione, con antipasti di pesce azzurro marinato o in carpione con lo stesso vino, con le carni bianche. Va bevuto alla temperatura di 18°C. Vino da consumarsi giovane, preferibilmente tra il primo e il secondo anno per sentire le venature di fruttato che, col passare degli anni, diventano sempre più eteree.
Consorzio di Tutela della Lacrima di Morro d'Alba doc
Il Consorzio di Tutela della Lacrima di Morro d'Alba doc si è costituito nel 1993, secondo le norme previste dalle legge N.164/92 che regola la materia vitivinicola a livello nazionale. Ne fanno parte produttori di uve e di vino Lacrima di Morro d'Alba oltre che imbottigliatori operanti nel territorio di produzione. Tra gli scopi e le finalità del consorzio ci sono il controllo, la tutela e la valorizzazione della produzione e commercializzazione della DOC, oltre che la promozione della sua conoscenza e diffusione. Questo vino ed il suo vitigno omonimo, che rischiavano la sparizione a causa di una dissennata "politica degli espianti", sono stati salvati da alcuni intenditori lungimiranti che ne hanno ottenuto la doc . Oggi la sua limitata produzione è ricercatissima.
TRADIZIONI e MANIFESTAZIONI
La religiosità popolare si esprime con la presenza di numerose edicole, altari, nicchie, croci, immagini protettive contro malattie, sfortuna e maltempo. Le tradizioni popolari legate ai ritmi della campagna, ad antichi riti di fertilità e alle ricorrenze religiose sono alla base delle manifestazioni odierne:
INFO
GUARDA I VIDEO
Canta Maggio Morro d'Alba 1992
Morro d'Alba anche nella pagina Facebook di AvventuraMarche
I VIGNETI DELLA LACRIMA DI MORRO d'ALBA
Foto Pierfrancesco Mingo
PROSSIMO EVENTO
8^ FESTA DEL LACRIMA E DEL TARTUFO DI ACQUALAGNA
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